Elogio di Giuseppe Prezzolini, anima e testimone della parte migliore del ‘900

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Elogio di Giuseppe Prezzolini, anima e testimone della parte migliore del ‘900

15 Luglio 2012

Ecco, non vorremmo fare troppo i nostalgici. Ad esempio dell’estate di trent’anni fa. La tentazione è forte, non solo perché eravamo tanto più giovani. In generale, a guardarsi indietro ora, si stava meglio.
Quando si stava meglio, nell’estate di trent’anni fa, la nazionale di calcio batteva Brasile, Polonia e Germania e diventava campione del mondo; oggi, dopo i quattro cazzotti presi a Kiev, uno dei mancati campioni riamane nelle cronache per una poco elegante vicenda di paternità controversa. Sarà un dettaglio, ma la differenza, la sottile degenerazione, si nota.

Poi, sempre per rimanere sui dettagli, quell’estate le radio eruttavano la Berté che non era una signora su testo e musiche di Ivano Fossati. Oggi siamo troppo vecchi per aggiornarci sui successi del momento (sempre più breve, sia il successo che il momento) ma se pensiamo a Lady Gaga, una che, se non ci inganniamo, fino a un quarto d’ora fa andava per la maggiore, la differenza, la sottile degenerazione, si sente pure qua.

Per uscire dai dettagli, buttandola suo sociale, gli operai della Fiat si prendevano ancora un mese di ferie e non erano costretti a scegliere fra turni di dieci ore o la disoccupazione. Allora, nell’estate del 1982, ci pare di ricordare che comunque, tutti se la prendessero con più calma, non solo gli operai. Sembravano finiti i maledetti anni di piombo, ci si rilassava, si poteva uscire la sera, almeno quand’era festa, a volte spendendo nemmeno una lira. A proposito di lire, è noto che allora si impennava il nostro famigerato debito pubblico. Ma chi lo sapeva? Che ce ne fotteva del Pil? Per non parlare dello spread, bestia ai tempi sconosciuta, ancora chiusa nell’oscura sua tana? Si lavorava, si spendeva, ci si rilassava per un mese intero, anche se eri operaio. Non c’era tempo per preoccuparsi del Pil, la vacanza non pareva un altro lavoro. E potevi giocare per ore senza essere intercettato da un sms di mamma.

Però, non possiamo fare i nostalgici, non è che si stesse così bene. Troppe cose non funzionavano. In politica, ad esempio, spadroneggiava il Caf; proprio nell’estate ‘82 Spadolini succedeva a se stesso a capo del famigerato “governo fotocopia”. Sembra roba lontana come il Rinascimento. E brutta, consociativa, corrotta. Mica democratica e liberale come oggi. E poi, bando a nostalgie e ironie, c’era ancora il Muro di Berlino, c’era la Cortina di Ferro; anche se forse non pochi europei dell’est qualche nostalgia se le concedono per gli anni del tramonto di Brèžnev, gulag e stato di polizia a parte.

Però, ripetiamo, nessuna nostalgia per quell’estate di trent’anni fa. Semmai per un uomo che ci lasciò proprio in quel luglio 1982. A cent’anni suonati, il giorno 14; anniversario della Rivoluzione Francese, il calcio d’inizio di quella modernità da lui così investigata e spiegata. Stiamo parlando di Giuseppe Prezzolini, e ci pare superfluo ricordare in questa sede chi fosse, quanto il miglior Novecento italiano sia transitato dentro e intorno a lui.

Che direbbe dell’Italia di oggi, del guado odierno, Prezzolini? Non ne sarebbe stupito, probabilmente. “L’Italia finisce” era il titolo di un suo saggio scritto nell’immediato secondo dopoguerra, originariamente per il pubblico dei vincitori e colonizzatori statunitensi. L’Italia finiva nell’ignominia dell’odio di parte, di una guerra civile che sottosotto non sembra mai pienamente finita. Però qualcosa rimaneva; il popolo e le aristocrazie italiche non lasciavano in eredità un radicato sentimento patrio, rimanevano ingovernabili da regimi autoritari come da governi balneari. Altre le loro ricchezze: d’ingegno, pratiche, artistiche. Altra l’eredità, la forza di questo paese: dal Dolce Stil Novo a Fossati, passando per Michelangelo, Machiavelli, Galilei, e poi Benedetto Croce e Giuseppe Ungaretti. E cos’è questa forza, questa antica sapienza italica? “Dimmelo tu cos’è” cantava Venditti nel 1982, riferendosi ad altro, ma non troppo dato che era una canzone d’amore. Non sappiamo chi può dirlo, ma sentiamo che nell’estate del 1982 ce n’era ancora in giro di quella forza, di quella voglia di fare qualcosa. Oggi zero tracce; l’estate delle scontento del governo tecnico, ci pare. Ma forse siamo troppo nostalgici e pessimisti. E allora ci consola un pensiero del giovane Prezzolini, targato 1905: “Ognuno appartiene al tempo che sa vivere”. Proviamoci, dunque, ad appartenere a questo tempo, a questa estate 2012.