Elogio ragionato (e impopolare) dei pianisti

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Elogio ragionato (e impopolare) dei pianisti

05 Marzo 2009

Ieri alla Camera si sono svolte le prove generali e sono andate bene. Ormai è ufficiale: dalla settimana prossima a Montecitorio entrerà in funzione il nuovo sistema elettronico di votazione che riconosce le impronte di ciascun deputato e che pertanto rende impossibile votare per il proprio “compagno di seggio”.

Fortemente voluto dal Presidente Fini, il nuovo sistema dovrebbe consentire di eliminare definitivamente la prassi degenerativa dei cosiddetti pianisti e le conseguenti polemiche che si registrano quotidianamente in Parlamento e sui giornali. Sulla scia della polemica montante contro la “Casta”, il pianismo parlamentare è diventato uno dei simboli maggiori del degrado delle nostre istituzioni democratiche e i deputati sono bollati come ”fannulloni”. I più radicali sono giunti a reclamare sanzioni draconiane come la decadenza dal seggio parlamentare o, addirittura, l’incriminazione per truffa ai danni dello Stato.

Naturalmente valutato in sé e per sé il fenomeno dei pianisti non è affatto edificante. E’ il segno di una classe politico – parlamentare di modesta qualità, perché inconsapevole della delicata missione istituzionale alla quale è chiamata.

Ciò posto, sorge spontaneo il dubbio che la questione sia stata impostata nei suoi termini corretti e che la soluzione adottata sia adeguata.

In primo luogo occorre avere ben chiaro che il paragone fra deputati pianisti e dipendenti pubblici assenteisti, che pure viene spontaneo, non sta in piedi. Non sta in piedi perché radicalmente diversa è la natura delle due attività. Quello parlamentare può essere definito lavoro solo in senso molto lato. Non è un lavoro in senso vero e proprio perché non è in alcun modo diretto a produrre un bene od un servizio di cui possano godere consumatori singoli o di gruppo. Non è del resto un caso che i nostri parlamentari non percepiscano uno stipendio ma un’indennità!

A ben vedere, mentre il dipendente assenteista danneggia la sua azienda perché riduce il valore complessivo del servizio erogato pur percependo il suo stipendio, il deputato che non partecipa al voto e si fa “aiutare” da un collega non fa un soldo di danno. Il valore (o più spesso il disvalore) di una legge approvata dal Parlamento non ha alcuna relazione con il numero di parlamentari che partecipano al voto. Anzi, l’esperienza mostra come spesso il numero di voti (e di voti favorevoli) sia inversamente proporzionale alla qualità della legge.

Il disvalore del “pianismo parlamentare” non è quindi economico e sostanziale ma esclusivamente “simbolico”. Siamo disposti a riconoscere che in una democrazia, in particolare ai suoi piani più alti, i simboli siano importanti. Ma ciò non toglie che pur sempre di simboli si tratta.

Fatta questa doverosa premessa occorre andare più in profondità nella questione. Il fenomeno dei pianisti è una risposta (sbagliata) alle numerose e gravi inefficienze che presenta il nostro sistema politico – istituzionale. Un Parlamento nel quale si svolgono centinaia e centinaia di votazioni su emendamenti, la gran parte dei quali privi di rilievo e senza concrete possibilità di essere approvati, presentati unicamente a scopo ostruzionistico o dilatorio. Un Parlamento nel quale quasi tutte le votazioni, anche quelle meno importanti, vengono fatte con verifica del numero legale e nel quale l’obiettivo costante dell’opposizione (di tutte le opposizioni) è far mancare il numero legale per ritardare i lavori. Un Parlamento nel quale la massima speranza dell’opposizione (di tutte le opposizioni) è “mandare sotto” il Governo non perché vi siano problemi politici interni alla maggioranza ma solo perché vi sono molte casuali assenze fra le sue fila.

E’ proprio su questi aspetti che si misura l’arretratezza delle nostre istituzioni. In altre e ben più avanzate democrazie le cose vanno in modo assai differente. Basti pensare al caso inglese. Alla House of Commons, in ogni seduta si svolge al massimo qualche decina di votazioni e quasi tutte per alzata di mano, in ogni caso il numero legale per le votazioni è pari a 40 parlamentari e – per soprammercato – nella quotidianità vige la buona abitudine secondo cui, quando si accorge di essere per caso maggioranza su una votazione,  l’opposizione fa uscire dall’aula un numero di deputati sufficienti a far sìi che la maggioranza sia tale anche in concreto.

E’ su questi nodi che occorre intervenire. La risposta delle istituzioni alla polemica – a volte fondata a volte stucchevole – contro la “Casta” non può essere puramente difensiva, non può ridursi ad applicare metodi polizieschi (quale appunto la rilevazione delle impronte digitali) a coloro che sono chiamati a rappresentare la Nazione. Occorre una risposta di attacco che, con specifico riferimento al Parlamento, riesca a rivitalizzarne il ruolo istituzionale effettivo e la sua riconoscibilità nel Paese. Il Parlamento dovrebbe riuscire a concentrarsi sulle questioni politiche rilevanti per il Paese. Dovrebbe riuscire da un lato a fornire un coerente sostegno al Governo voluto dalla maggioranza dei cittadini e dall’altro ad esercitare un’efficace controllo sull’operato del medesimo governo.

Secondo una bella definizione il lavoro parlamentare è ozio senza riposo, fatica senza lavoro. Elevarne il carattere afflittivo potrà forse servire per guadagnare qualche titolone sui giornali, ma non migliora di un millimetro il funzionamento della nostra democrazia.