Emergenza clima: per la sinistra è sempre colpa del capitalismo
13 Settembre 2007
Intervenendo alla conferenza nazionale sui cambiamenti climatici, il ministro della Ricerca e dell’università Fabio Mussi l’ha sparata grossa: “il capitalismo nella sua forma attuale è incompatibile col pianeta Terra”. La dichiarazione ha un pregio e un difetto: il pregio è di esprimere, papale papale, quello che molti tra i fondamentalisti dell’ambiente pensano. Il difetto è quello di essere priva di senso.
Cosa significa, infatti, che un modello di organizzazione sociale è incompatibile col pianeta? Che è innaturale? Che il suo impatto sulle risorse o sull’ambiente, generalmente inteso, è insostenibile? Se così fosse, il pianeta avrebbe già dato segni di insofferenza. Invece, tutti gli indicatori suggeriscono il contrario: che il capitalismo, consentendo ai paesi che lo abbracciano di arricchirsi di capitale finanziario e umano, ci mette anche nella condizione di prenderci meglio cura del mondo che ci circonda. Aspettativa di vita alla nascita, concentrazioni delle principali sostanze inquinanti, e altre misure dell’impatto ambientale mostrano che, nel lungo termine, l’aumento del pil pro capite è correlato con una sempre maggiore attenzione al creato. E questo è anche logico: come recita un antico detto, scodella vuota un solo problema, scodella piena tanti problemi. Cioè, una volta soddisfatti i suoi bisogni essenziali (nutrirsi, trovare un riparo, condurre un’esistenza decorosa), l’uomo si interessa di altre esigenze che, per chi soffre la fame, neppure si pongono. Tra di esse, il rispetto dell’ambiente.
Il capitalismo è eco-friendly per due ragioni. La prima, diretta, è che appunto aumentando le disponibilità materiali degli individui, li mette nella condizione di poter spendere di più per adottare tecnologie meno invasive ma più costose. Un’automobile prodotta oggi, così come una centrale elettrica o un frigorifero, inquina infinitamente meno dello stesso oggetto realizzato nel passato. Il motivo indiretto è che, in un contesto competitivo, sono più alti gli incentivi all’innovazione e questo fa sì che nuove tecnologie emergano, rendendo la nostra vita sempre migliore e il nostro rapporto con l’ecosistema sempre meno ostile. Nel suo sragionamento, d’altronde, Mussi non pare rendersi conto che i luoghi maggiori casi di inquinamento al mondo e i disastri ambientali più devastanti – da Chernobyl alla distruzione del lago d’Aral – non sono si sono verificati a causa degli eccessi del capitalismo, ma proprio laddove si sono volute contrapporre al capitalismo delle istituzioni di natura diversa. Nei paesi del socialismo reale.
Piuttosto, sottesa alle parole del ministro dell’Università è una visione del pianeta che è incompatibile con l’uomo. Sotto sotto, l’argomento di Mussi è che il capitalismo permette di vivere a un numero incredibilmente alto di persone, come non lo si era mai visto nella storia, e che questi siamo troppi. Non è il capitalismo, il problema, ma la gente. Da qui al punto sollevato ieri da Alfonso Pecoraro Scanio il passo è breve. Il titolare dell’Ambiente, sparando cifre più o meno irrealistiche, ha sostanzialmente detto che gli italiani, gli europei, gli occidentali dovrebbero ripensare il loro modello di sviluppo, ossia abbandonare il principio della crescita (economica, sociale, civile). Parallelamente, si intuisce l’auspicio che, mentre noi ci fermiamo, il resto del mondo neppure parta. Ecco l’effetto che avrebbero le politiche che piacciono a Pecoraro, Mussi e i loro compagni (i quali anche a destra non sono affatto una specie rara): minare i benefici messi a disposizione dal capitalismo. Il loro sogno nel cassetto è, brutalmente, che sul pianeta vivano meno persone. Gli strumenti che essi propongono servono a far vivere male quelli che restano.