Eppure c’è ancora chi chiede un governo “non politico”

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Eppure c’è ancora chi chiede un governo “non politico”

17 Aprile 2018

Ma che c’entrano i governi con la politica, dice quella testa fine di Carlo Calenda. E io non chiedo un governo politico” dice Carlo Calenda in un’intervista a Claudio Tito sulla Repubblica del 16 aprile. E’ interessante constatare come vi siano persone per le quali la storia anche quella minore e più recente, è come acqua fresca che non lascia traccia. A forza di fare “governi” non politici ispirati da persone della sua schiatta (con in testa quel genio di Luca Cordero di Montezemolo), dopo le mirabili avventure del governo Monti, puntando su esecutivi dalle scarse basi di legittimità popolare come quelli Letta, Renzi e Gentiloni, si è fatto arrivare i grillini al 32% (e per fortuna c’è un’alternativa leghista che drena un po’ di questa protesta senza né proposta né testa), e adesso toccherà tentare di assorbirli con molta pazienza democratica. Però, invece, con un governo di scopo non politico fatto sostanzialmente in barba agli elettori e che secondo le intenzioni calendiane dovrebbe durare due anni, la suddetta protesta senza né proposta né testa arriverà (e con qualche buona ragione) al 51%.

E’ la crisi di un “centro” culturale, di valori, sociale ed economico che determina quella di un centro politico fisiologico (che peraltro non può essere quello patologicamente/arrogantemente autoreferenziale che abbiamo visto in azione in questi anni). L’Italia, oggi, è un Paese ‘senza centro’. Perché ha perduto i riferimenti tradizionali”. Ilvo Diamanti sulla Repubblica del 16 aprile, sull’onda di un editoriale di Angelo Panebianco  del Corriere della Sera del 27 marzo in cui si scriveva che “L’esperienza storica, la storia delle democrazie, ci dice che nessun bipolarismo può diventare durevole se la sua affermazione si accompagna allo ‘squagliamento’ del centro”, insiste su questo tema della scomparsa del “centro” in Italia. Alla fine l’opinionista repubblicone è più convincente di quello corrierista perché nelle sue riflessioni c’è più spazio per l’analisi del “centro” e della “società” come necessaria sponda di più generali processi politici positivi. La crisi italiana non deriva, a mio avviso, dal poco peso che hanno i vari Pierferdinando Casini e simili, bensì dalla scomparsa della Mediobanca stile Enrico Cuccia, dalla funzione che hanno i grandi giornali della borghesia rispetto a quella svolta in altre stagioni, dal tramonto del ruolo quasi sacro e quindi riservato che aveva la magistratura dei Beria d’Argentine, dall’eclisse del senso della misura della Rai bernabeiana, dal minor peso di geniali uomini di Chiesa come il cardinale Camillo Ruini, dalla presenza di una piccola Confindustria. E’ la fine di un centro culturale, di valori, sociale che precede e determina la fragilità di posizioni più meditate in politica e favorisce come surrogato l’apparire sulla scena di arroganti/improvvisatori come Mario Monti, Matteo Renzi e ora Carlo Calenda che vogliono essere il centro non convincendo ma commissariando. Quando da certi ambienti viene un lamento per la scomparsa di un’area più abile nella compensazione dello scontro politico, la risposta che mi viene naturale è citare il Vangelo di Luca (4, 23): “Medice cura te impsum”.

Come nasce “un responsabile”. Le dichiarazioni Di Salvini sono irresponsabili”. Così Pietro Salvatori su Huffingorn Post Italia del 17 aprile registra una presa di posizione dell’onorevole Luigi Di Maio. Con un sorriso che sembra Alberto Sordi che fa dentone nel film “I Complessi”, con un abituccio che sembra quello di un personaggio di Pupi Avati quando si veste per la festa, con un’impunita leggerezza nel dimenticarsi tutti gli impegni presi in campagna elettorale, con un improvviso riempirsi la bocca di moderatismo e responsabilità come se fosse l’onorevole Pierferdinando Casini, con una “piena fiducia nel presidente Mattarella” che avrebbe potuto dire un Walter Veltroni qualsiasi, con gli storici vaffa grillini che non chiedono più all’avversario una sottomissione sessuale ma sono un “va’ là, facciamo un giro di walzer”, Di Maio assomiglia sempre di più al senatore Antonio Razzi.

Se gli eurofanatici sono così depressi sull’Unione europea, figuratevi gli altri. Ma toccherà a Macron, che il 17 aprile prenderà la parola nell’emiciclo del Parlamento europeo, indicare un modello che riesca a mettere d’accordo i molti naufraghi che si agitano sulla malconcia zattera del sogno europeo”. Così scrive Andrea Bonanni sulla Repubblica dell’8 aprile. Per uno dei già più eurofanatici giornalisti italiani, l’Unione bruxellese è una “malconcia zattera” su cui “si agitano molti naufraghi” assai poco d’accordo. Così l’(ex?) eurofanatico. Figuratevi gli altri.