Escludendo il Pdl da Roma s’è messo a repentaglio il principio di coesione sociale
09 Marzo 2010
La sinistra neo borbonica ha vinto nel ricorso al Tar del Lazio contro il Pdl che chiedeva la sospensione della decisione di non ammettere la sua lista alle elezioni, sulla base del decreto di interpretazione autentica sulle procedure di presentazione delle liste elettorali, varato dal governo il 5 marzo.
L’argomento per respingere il ricorso è che nel Lazio non vale la legge dello stato, ma la legge regionale, trattandosi di materia di competenza regionale. Il Tar ha commesso due errori gravi. Innanzitutto è entrato nel merito della vertenza, cosa che gli è preclusa, quando delibera sulle sospensive. Inoltre ha ignorato il principio costituzionale di eguaglianza, che comporta che non possono esserci criteri diversi per l’esercizio dell’elettorato attivo e passivo nelle varie Regioni italiane.
Il decreto del governo non può non riguardare tutta l’Italia. La sinistra adesso è felice di avere ottenuto questa singolare vittoria a tavolino contro il decreto legge di interpretazione autentica delle norme sulla presentazione delle liste elettorali. E’ felice del fatto che il Tar del Lazio ritenga inammissibile che il legislatore nazionale dia interpretazioni delle leggi ispirate ai principi generali ella Costituzione, anziché al formalismo.
Alla sinistra, in particolare, ripugna il preambolo al decreto del 5 marzo che recita: “Assicurando il favor electionis secondo i principi di cui agli articoli 1 e 48 della Costituzione; Ritenuto che tale interpretazione autentica è finalizzata a favorire la più ampia corrispondenza delle norme alla volontà del cittadino elettore, per rendere effettivo l’esercizio del diritto politico di elettorato attivo e passivo, nel rispetto costituzionalmente dovuto per il favore nei confronti della espressione della volontà popolare; Ravvisata l’esigenza di assicurare l’esercizio dei diritti di elettorato attivo e passivo costituzionalmente tutelati a garanzia dei fondamentali valori di coesione sociale, presupposto di un sereno e pieno svolgimento delle competizioni elettorali”.
Una volta i radicali erano difensori della democrazia, ora sono difensori della cavillocrazia, per impedire al partito avversario di esprimersi, esattamente come fece Benito Mussolini nelle elezioni del 1925. In parlamento, i radicali facevano l’ostruzionismo, con ogni mezzo consentito dall’ interpretazione estensiva del regolamento, in nome del loro diritto a sostenere le proprie idee. Hanno digiunato affinché si garantisse la loro libertà di espressione nei media pubblici, in nome della democrazia. Ora sono passati dall’altra parte della barricata. Non sono più i Ghandi della democrazia, sono i Robespierre della burocrazia di tradizione borbonica. Quale mutazione genetica, per questi radicali che scrutano le carte e fanno ricorsi giudiziari per trovare il modo di impedire ai cittadini di votare!
E quale mutazione genetica per la sinistra del pensiero debole o mite di Gustavo Zagrelbesky, e per la scuola del diritto evolutivo basata sugli interessi diffusi e sul mutamento della relazione fra autorità e cittadino, da quello verticale di potere a quello orizzontale di parità.
Che fine ha fatto la scuola sinistra della sinistra giuridica, quella che ha esteso i diritti dell’ambiente, del consumatore, dei lavoratori come parte debole, della comunità verso l’impresa quale portatrice di interessi diffusi mediante l’interpretazione – non degli scopi della legge, come il decreto di interpretazione autentica del 5 febbraio 19120, firmato dal capo dello stato, che nel preambolo ha trovato l’espressione di un proprio costante principio di diritti costituzionale – ma della società, quale fonte primaria dell’ordinamento giuridico vivente?
Che fine ha fatto quella sinistra giuridica che ha sostenuto che anche nel diritto penale si può adottare l’interpretazione evolutiva, allo scopo di raggiungere i principi generali, a cui tende il legislatore e quindi ha ammesso il reato di “concorso esterno in associazione mafiosa” sebbene questa nozione non abbia un riscontro testuale preciso?
Non si era sostenuto che interpretazione evolutiva non è necessariamente estensiva, perché il significato delle norme dipende dall’ambito sociale di applicazione della legge? Per la verità l’interpretazione evolutiva non è estensiva e innovativa, quando, nel dubbio, si avvale dei principi generali del diritto e questi sono diversi dal passato, perché nuove leggi hanno modificato l’ordinamento vigente. Comunque, l’interpretazione delle norme secondo gli scopi della legge, quando esse sono suscettibili di diverse interpretazioni, non è una interpretazione evolutiva: è una interpretazione logica che guarda al fine della regola per risolvere dubbi sul suo contenuto.
Non si era sostenuto che utilizzare un solo canone di interpretazione delle leggi, fra tutti quelli possibili, e quindi adottare solo l’interpretazione letterale dei testi, equivale a privilegiare una particolare ideologia dell’interprete? Non si era sostenuto, da parte della sinistra giuridica, che riconoscere il pluralismo dei metodi nel processo interpretativo significa anteporre la funzione del diritto al problema ideologico della sua natura? E che quanto più numerosi sono i criteri di interpretazione a disposizione dell’interprete, tanto maggiori saranno le probabilità di successo dell’interpretazione e la possibilità di ricavare dalla disposizione una norma adeguata al caso da regolare?
Non ci si era esaltati di fronte alla sentenza della Cassazione che aveva stabilito la risarcibilità del danno anche nel caso della lesione di un interesse legittimo e non solo di un diritto, in relazione al mutamento del clima politico-sociale? Nella sentenza a Sezioni Unite del 26 marzo 1999, n. 500, i giudici sottolineano il radicale dissenso della quasi unanime dottrina che ha denunciato come iniqua la sostanziale immunità della Pubblica Amministrazione avuta fino a quel momento e il progressivo formarsi di una giurisprudenza di legittimità volta ad ampliare l’area della risarcibilità sulla base dell’articolo 2043 del codice civile, sia nei rapporti tra privati sia nei rapporti tra privati e Pa sulla base del mutato clima politico-sociale che si esprime anche con alcune importanti riforme attuate dal legislatore.
Dal mutato clima generale, che si esprime nella nuova legislazione, è emersa una diversa figura del rapporto tra cittadini e potere pubblico, in cui si è cercato di modificare l’idea di supremazia della Pa in quella dell’amministrazione come istituzione al servizio dei cittadini, passando da una attività di natura puramente regolatoria ad una più funzionale. In questa nuova logica del rapporto tra cittadini e Pa, l’autorità è più vicina al cittadino. Da ciò si è desunto che profondamente ingiusto che la lesione di un interesse legittimo del cittadino da parte della Pa non fosse considerata anche attraverso un risarcimento del danno. In questo caso la Cassazione non ha fatto riferimento ai principi costituzionali, per risolvere un dubbio sul contenuto delle norme, come nel caso del decreto interpretativo del 5 marzo, ha fatto riferimento ad altre leggi ordinarie che sono entrate nel sistema giuridico, per estrarne un nuovo principio generale del diritto.
Nel caso del decreto del 5 marzo, con questo riferimento ai principi generali dell’ordinamento si possono citare una quantità di nuove norme sulla semplificazione delle procedure amministrative e sull’abrogazione degli obblighi di timbratura e vidimazione di registri ed atti nel diritto pubblico, in quello tributario, in quello commerciale. La sinistra giuridica, per voce del giudice Giovanni Palombarini, autore di un libro del 2000 " Giudici a sinistra I 36 anni della storia di Magistratura Democratica: proposta per una nuova politica per la giustizia", denunciava la “falsa neutralità” dell’interpretazione positivistica del diritto ed esaltava la giurisprudenza alternativa, che forzava l’’interpretazione delle leggi, in nome del comune sentire. Ora la linea è cambiata.
Il comune sentire, per cui le competizioni elettorali si fanno fra schieramenti alternativi e non si può impedire ai cittadini di votare per il partito che ha la maggioranza dei voti in Italia per un opinabile errore di procedura nella presentazione delle liste, è andato in soffitta. E dalla soffitta si è fatto uscire il pensiero di Carlo Marx sulla lotta di classe, che è la vera ed impropria base culturale della teoria dell’interpretazione evolutiva, basata non sul mutamento dei principi generali del diritto vigente, ma sugli interessi alternativi. L’ interpretazione di questa sinistra non è quella più aderente a tali principi vigenti e al comune buon senso, che in una democrazia, che si basa sul diritto di voto, consiste nel favorirlo. No, il diritto evolutivo per questa sinistra è quello che fa a loro comodo volta per volta.
Una volta prevaleva la sostanza sulla forma, adesso la forma sulla sostanza. Il diritto mite teorizzato da Gustavo Zagrebelsky, nell’interpretazione di questa sinistra, che il giurista torinese ha avvallata, rivela il suo vero volto, che non è quello della mite parità dei cittadini con le autorità pubbliche, ma quello della contestazione del diritto di votare, non in nome di un principio costituzionale ma in nome del proprio desiderio di prevalere.
Ora il Pdl ricorre al Consiglio di Stato e il pasticcio si accresce. Il principio della coesione sociale, di cui al preambolo del decreto legge interpretativo del 5 marzo, di cui giustamente il presidente Napolitano si preoccupa, è messo a repentaglio. A ciascuno trarne le conseguenze. Per mio conto ne traggo questa: il Pd che si associa a tutto ciò, trascinato dalla piazza, ha subito un ennesimo duro colpo. Perché ora, a sinistra, prevale l’estremismo. E la storia insegna che quando la sinistra diventa estremista, viene sconfitta.
In piazza non c’è il diritto mite, c’è un rivoluzionario col volto incartapecorito che va a braccetto con uno sbirro borbonico. Vanno dietro al dottor Azzeccagarbugli reggendogli la coda della livrea.