Esecutivo più forte, le riforme possibili
17 Gennaio 2014
Caro direttore,
l’analisi che Antonio Polito (Corriere della Sera di mercoledì 15 gennaio) ha affidato a queste colonne merita di non cadere nel vuoto: corretta è la ricostruzione della storia recente, realistica la diagnosi della fragilità istituzionale italiana, condivisibile la direzione verso la quale indirizza la ricerca di terapie efficaci. Soprattutto, imprescindibile è il punto di partenza: le spalle della legge elettorale sono troppo esili per sopportare da sole il peso della modernizzazione dello Stato.
Senza gli strumenti per decidere e per realizzare le decisioni, l’Italia non sarà in grado di colmare il gap che la separa dalle altre democrazie avanzate dell’Occidente. Trent’anni di instabilità politica e di sostanziale ingovernabilità, nonostante il succedersi di riforme elettorali di ogni ordine e grado, stanno lì a dimostrarlo. Insomma: dire che la legge elettorale da sola non basta, affermare che il Paese ha bisogno di riforme, non è un espediente per perdere tempo.
Sgomberiamo subito il campo dalle illusioni: nell’attuale contingenza politica, soprattutto dopo la decisione di Forza Italia di mettersi all’opposizione non solo del governo ma anche delle riforme, immaginare un intervento radicale che ridisegni da cima a fondo le nostre istituzioni sarebbe poco realistico e addirittura velleitario. Cionondimeno, l’agenda per il 2014 dovrà contemplare quegli interventi essenziali che mettano riparo alle più evidenti disfunzioni del sistema istituzionale, restituiscano credibilità alla politica e, dopo aver agganciato la ripresa economica, consentano una duratura fase di sviluppo. Fra questi interventi, oltre a una nuova legge elettorale, dovrà esserci la riforma del bicameralismo e la revisione del Titolo V della Costituzione.
Credo tuttavia che abbia ragione Antonio Polito nell’indicare nella debolezza strutturale del potere esecutivo uno dei principali fattori di instabilità. Sappiamo bene che una revisione complessiva della forma di governo, a cominciare dall’investitura popolare diretta del vertice dell’esecutivo (capo dello Stato o Premier), deve attendere stagioni migliori perché in assenza di riforme ad ampio raggio il sistema resterebbe privo dei necessari contrappesi. La riforma del bicameralismo offre però lo spazio e una preziosa opportunità di razionalizzazione.
Attraverso emendamenti organici alla riforma del bicameralismo, si può infatti intervenire su tre aspetti cruciali: la fase genetica del governo (con la fiducia conferita al solo presidente del Consiglio e il potere di nomina e revoca dei ministri); la fase dell’attività ordinaria (rafforzando le prerogative del governo in Parlamento); le fasi di crisi politica (con meccanismi deterrenti rispetto ai fenomeni di ribaltone e di «ricatto» da parte di minoranze interne alla maggioranza).
Non è ancora una rivoluzione copernicana, ma è quanto possibile nelle attuali condizioni politico-istituzionali, e certamente un passo avanti perché un governo possa ambire a governare e a rispondere ai cittadini per ciò che ha fatto o non ha fatto, disponendo di un tempo congruo e di strumenti decisionali adeguati. La diagnosi dei problemi è condivisa, le soluzioni sono a portata di mano. L’auspicio è che le forze politico-parlamentari vogliano approfittare della finestra di opportunità di questo inizio 2014. In caso contrario, sarà il governo a farsi carico della proposta per non sprecare l’ennesima preziosa occasione.
(Tratto da Corriere della Sera)