“Etica e confini della ricerca”

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“Etica e confini della ricerca”

01 Agosto 2011

Gli scenari attuali della ricerca e del suo rapporto con l’etica e la politica ruotano attorno ad alcuni termini chiave. Il primo è tecnoscienza, parola che indica una scienza fondata sempre di più sulla tecnica, perché finalizzata alle sue immediate ricadute tecnologiche, e sempre meno sui processi di acquisizione della conoscenza; una scienza che tende a trasformare, più o meno lentamente, l’antropologia, le relazioni tra gli esseri umani, il concetto stesso di genitorialità.

Tra i tanti libri scritti sull’argomento, è particolarmente significativo “Everything Conceivable”. Nel testo il  termine “concepibile” è usato nel doppio senso di “tutto è immaginabile” oppure, letteralmente,  “tutto si può concepire”, cioè generare, proprio a raccontare un mondo in cui la tecnoscienza irrompe nella procreazione attuando una sorta di esperimento sociale, e antropologico, mediato dalla tecnologia. E’ un libro in cui si raccontano storie esemplari come quella di una coppia di omosessuali con il desiderio di avere due figlie gemelle. Realizzeranno il sogno di paternità, e nasceranno due bimbe generate con il seme di entrambi e fornite di due madri biologiche ma di nessuna madre sociale, cioè di nessuna donna che si assuma la responsabilità di crescerle. O, ancora, quella del  famoso Gruppo 1476, un’associazione a cui appartengono i discendenti del seme del donatore “1476”, e che accoglie i visitatori del proprio sito web con la frase “benvenuti nel sito della famiglia n. 1476”: una famiglia che non ha un padre, o meglio, che ha come padre soltanto un numero.

Per capire quali sono i problemi etici, e non solo antropologici, che ci vengono posti con urgenza dalla tecnoscienza bisogna ricordare l’autorizzazione concessa dal Parlamento inglese alla sperimentazione sui cosiddetti “cibridi”, cioè embrioni interspecie uomo-animale che, se sviluppati, sarebbero umani al 99,9%. Si tratta di un «tasso di umanità» molto alto, certo, ma va sottolineato che ormai siamo arrivati a parlare di umanità, appunto, in termini percentuali. Credo fermamente che questi esperimenti non avranno fortuna, perché si basano su forzature tecniche e scientifiche, ma sono comunque molto indicativi per aver acceso un interessante dibattito: come definire l’umano? L’unicità della condizione umana è inscindibilmente legata al rapporto tra biologia e relazione: se si separa la biologia dalla relazione affettiva, si ottiene la perdita di senso della vita umana, quindi, da una parte, si schiaccia l’umano sul biologico, facendo del corpo qualcosa di totalmente manipolabile, e dall’altra si destrutturano i rapporti che sono a fondamento della convivenza e della cultura. Il rischio della tecnoscienza sta proprio nella modificazione dell’antropologia, nella devastazione dell’esperienza fondata su un’affettività che non è desumibile dal biologico.

Il secondo termine chiave è biopolitica, un ambito all’interno del quale confluisce il discorso sulla tecnoscienza. Ma non solo. La riflessione biopolitica investe il concetto di umano nella sua interezza: dove si colloca e quali sono le discriminanti del nuovo potere sui corpi? La scienza, oggi, entra come un cuneo, anche attraverso le sue applicazioni tecnologiche, nella ri-definizione dell’esperienza umana intrecciandosi a saperi diversi ma non indirizzandosi in modo automatico verso il bene dell’umanità. Se poi per giudicare la scienza usiamo l’autoreferenzialità come unico criterio possibile, andiamo sicuramente incontro a deviazioni. Basti pensare agli esperimenti realizzati sull’uomo durante il Nazismo: certamente si trattava di sperimentazioni che portavano a conoscenze ulteriori perché difficili da ottenere in altro modo. Ma questa è una mera valutazione scientifica. Dal punto di vista etico, è evidente che si trattava di pratiche orribili ed assolutamente non legittimabili.

E’ importante, quindi, che questo incrocio fra etica e politica sia illuminato da una riflessione nuova, sotto alcuni aspetti ancora da aprire. Lo sforzo che abbiamo fatto in questa direzione con la legge sulla procreazione assistita, e quello che il Parlamento sta facendo in questo ultimo periodo sul fine vita, è evidente e, in questo contesto, non solo necessario ma improrogabile.

Tratto dall’intervento pubblico del sottosegretario alla Salute Eugenia Roccella ad Arezzo, il 27 novembre 2011