Eugenetica, chi vuol dividere le persone tra giuste e sbagliate

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Eugenetica, chi vuol dividere le persone tra giuste e sbagliate

24 Dicembre 2007

Una ordinanza emessa dal tribunale di Firenze ha stabilito che è legittimo eseguire una diagnosi preimpianto sull’embrione, per poterlo eliminare nel caso sia affetto da una grave malattia genetica. La legge 40 sulla procreazione assistita afferma esplicitamente che è vietata «ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni e dei gameti», ma il giudice ha disinvoltamente stabilito altrimenti. Non entrerò nelle delicate questioni di diritto e di competenze che l’ordinanza pone, come l’equilibrio tra i poteri in democrazia, o la nuova tendenza alla ‘giurisprudenza creativa’, che sta emergendo. Certo, sarebbe meglio che le leggi le facessero i parlamentari, i quali ne rispondono agli elettori; i giudici, invece, che non sono eletti da nessuno, le norme dovrebbero limitarsi ad applicarle. Il cuore del problema, però, è un altro.

Dobbiamo stabilire se accettiamo o no che la vita dei disabili, dei malati, di chi è portatore di un qualunque ‘difetto’ genetico abbia lo stesso, identico valore di quella dei cosiddetti sani. Oppure se, come gli eugenisti degli inizi del Novecento, riteniamo che le persone vadano divise tra «fit» e «unfit», giuste e sbagliate; con la naturale conseguenza di scartare quelle sbagliate. La banca degli embrioni ‘Abraham’, negli Usa, pubblicizza i suoi servizi invitando i genitori che si accostano alla procreazione assistita a fare alcune considerazioni. Come si sa, le varie tecniche non superano una soglia di successo davvero bassa, il 30%.

Inoltre spesso gli embrioni ottenuti con tanta fatica non sono granché, proprio perché provengono da coppie infertili. Perché dunque non rivolgersi alla banca, che offre embrioni belli e fatti, e ne garantisce l’assoluta qualità? Basta con le stimolazioni ormonali, i ricoveri, le speranze deluse, gli embrioni venuti male: ordinate il prodotto semilavorato e selezionato, non resta che impiantarlo nell’utero, e avrete un tasso di successo del 70%. Il figlio, insomma, è come un bene di consumo, che si sceglie secondo le regole del mercato: migliore qualità a minor prezzo. In Italia nessuno ancora userebbe il linguaggio spregiudicato e sincero del direttore della banca ‘Abraham’, ma qualunque spiraglio lasci passare il principio della ‘qualità’ del futuro bambino, implica che in poco tempo si spalanchi la porta all’eugenetica. Non diteci più, per favore, che la selezione si limiterà ai casi gravi, perché nei Paesi dove è ammessa si allarga in modo irrefrenabile, e non saperlo vuol dire essere in malafede o non leggere le notizie dall’estero. In Inghilterra già si eliminano gli embrioni che abbiano una buona probabilità di sviluppare malattie da adulti, come il cancro al seno o al colon; dal Times del 15 dicembre abbiamo appreso l’ultima novità, il diritto di rifiutare gli embrioni che possano soffrire di un livello di colesterolo alto. Si tratta ormai, esplicitamente, di volere bambini che il mondo anglosassone definisce «designer babies», cioè figli progettati su misura, con caratteristiche decise dai genitori.

Non conta la gravità della malattia genetica, ma il desiderio (c’è chi la chiama «autodeterminazione») degli adulti, e non importa che le patologie individuate siano lievi e perfettamente curabili. I sostenitori della modifica alla legge 40, invece di definire crudele il divieto di diagnosi preimpianto, provino a misurare il proprio livello di colesterolo, e a dirsi che, se è al di sopra della norma, questo in alcuni Paesi sarebbe stato motivo sufficiente per essere scartati in fase embrionale.

da Avvenire