Eutanasia: perché adesso?
22 Novembre 2006
Concordo pienamente con il sen. Mantovano sulla pessima partenza del dibattito sulla Eutanasia. L’ennesima, falsa contrapposizione tra credenti e non credenti, laici e cattolici, ha il perverso effetto di sviare completamente dalla questione: e facilita l’approdo a soluzioni del tutto erronee sia in merito al metodo di discussione sia riguardo al problema sostanziale. E ovviamente in tale situazione i primi a farne le spese sarebbero proprio i cattolici (perlomeno i meno accorti) alle corde ancora una volta per volere imporre dettami esclusivamente religiosi ad una società civile composta anche da gente che non crede etc. etc. O meglio (peggio?), ad una società che in quanto tale deve necessariamente separarsi da qualunque morale di lontana derivazione religiosa, etc. etc. Nulla di nuovo sotto il sole.
Ritengo invece sia interesse di tutti, credenti e non credenti insieme, riportare entro i giusti binari una questione delicata come l’interruzione di vita volontaria. Innanzitutto sostenendo con convinzione che qui non è in gioco una partita sulla libertà della persona, tanto meno un inesistente diritto a morire (come incisivamente ha sottolineato Loquenzi), pena un oscurantismo dell’intelletto paradossale per chi invece si autoproclama paladino dei lumi del progresso. Se si cade nel tranello di discutere in termini di riconoscimento della libertà di staccare o meno la spina, si salta a piè pari l’interrogativo preliminare, l’unico, vero e centrale punto della discussione: è giusto o no terminare un essere umano in base allo stato di salute in cui versa? E la sua volontà di essere terminato è rilevante ai fini della decisione finale? Lascio a chi di dovere, perché di certo più competente, lo sviluppo di questi punti focali (su cui però anch’io mi riservo di tornare più in là con qualche altro articolo): vorrei invece approfondire un’altra questione non meno importante, che riguarda il dibattito in termini più specifici. Perché la querelle sulla eutanasia è infuriata proprio adesso? Di “dolce morte” si parla già da qualche anno, più o meno approfonditamente abbiamo chiari tutti i termini generali della questione. Ciononostante, solo da pochi mesi si è deciso di porla come priorità dell’agenda pubblica, coinvolgendo ampi strati della società italiana.
La risposta all’interrogativo è tanto semplice quanto poco evidente ai più: qualcuno aveva bisogno di una sovraesposizione mediatica. Di avere i riflettori puntati, in modo tale da (ri)attirare l’opinione pubblica su di sè. E quel qualcuno sono i radicali di Marco Pannella, maestri nel giocare allo “scandalo a comando” con i media. Sia chiaro: lungi da me qualunque tentazione complottistica. Non c’è ne proprio bisogno in tempi in cui imperversano le bufale “alla matrixiana” sull’undici settembre. Piuttosto il punto è un altro: c’è da dubitare fortemente dell’innocenza e della buona fede di chi ha innescato la miccia perché, parafrasando la serie televisiva Lost, nulla è accaduto per caso. Andiamo con ordine.
Il 9 e 10 aprile scorso dalle urne elettorali è uscito distrutto un partito che si vantava di essere la novit%C3