
Evviva la festa del 17 marzo, con un po’ di Pil in meno e tanta retorica in più

10 Febbraio 2011
Il 17 marzo 2011, festa nazionale dell’Unità d’Italia, sta diventando l’ennesimo capitolo di quello psicodramma nazionale che il Paese vive ormai da un paio di decenni. Il fatto è banale, di una semplicità quasi disarmante. Nel mese di luglio il Parlamento approva, su proposta del Governo, una norma che dichiara il 17 marzo 2011 giornata di festa nazionale per celebrare l’anniversario dei 150 anni dell’unità d’Italia. La cosa passa liscia senza che si accenda la solita insopportabile polemica tra unitari e secessionisti, fra nordisti e sudisti, fra liberisti e statalisti. E si tratta di un fatto di per sé positivo perché accendere una dura polemica politica anche sulla scelta di celebrare con una festa nazionale (una festa eccezionale perché prevista per il solo 2011) una ricorrenza importante della storia nazionale non sarebbe stato certo un bel segnale.
Poi qualche anima bella, in servizio permanente effettivo, lancia il dubbio che la previsione di legge sarebbe stata formulata in modo improprio e che quindi il 17 marzo 2011 sarà una festa senza festa, ovvero una festa durante la quale si continuerà a lavorare normalmente (negli uffici pubblici come nelle imprese private). All’inizio sembrava una provocazione ma, di fronte al montare della polemica, il Governo decide di intervenire e chiarisce definitivamente che il 17 marzo sarà festa civile a tutti gli effetti.
Ma il tormentone riprende con le dichiarazioni del Presidente di CONFINDUSTRIA che lancia l’allarme per la perdita di produttività connessa alla nuova e straordinaria festività. E a questo punto la frittata è fatta. Dopo mesi di quiete (almeno apparente) si risveglia lo spirito leghista che cavalca le ragioni del Nord produttivo contro il Sud piagnone e festaiolo. Ed ecco allora che si moltiplicano le raffinate analisi intellettuale che ci ricordano che l’unità nazionale è un valore da elaborare con serie analisi intellettuali e con profondi sentimenti morali e non semplicemente con un giorno in più di vacanza. Che sull’anniversario dell’unità c’è stato sinora un sovraccarico di retorica. Che piuttosto che festeggiano l’unità del Paese andrebbe celebrata lavorando di più. Che le feste nazionali sono eventi effimeri ed evanescenti. E così via.
Ora tutti gli argomenti presi singolarmente appaiono fondati e condivisibili. Eppure presi tutti insieme non convincono. E’ ben vero che il Paese per uscire dalla crisi deve impegnarsi a produrre di più, ma questa non è una ragione sufficiente per escludere l’opportunità di una festa per l’unità d’Italia con la quale rafforzare un senso di identità nazionale indebolito dalla violenta delegittimazione politica reciproca nella quale il Paese è precipitato da alcuni anni. Non sarà una sola giornata di festa in più a minare il recupero di produttività economica. Del resto nel 2011 due giornate di festa nazionale (il 1° maggio ed il 25 aprile) cadono in coincidenza con altre festività e quindi, anche scontando la festa del 17 aprile, nell’anno si lavorerà un giorno in più rispetto alla media.
Quanto alle obiezioni culturali, tutte magnifiche ed inattaccabili. Ma si tratta di obiezioni che possono essere avanzate per tutte le feste nazionali. Che forse in occasione della Festa della Liberazione le masse italiane si ritrovano unite nella riflessione sui valori della democrazia e dell’antifascismo. A parte qualche ridicola sfilata dell’Associazione Nazionale Partigiani, e qualche noioso e retorico discorso sul fascismo e sull’antifascismo, per la gran massa è solo l’occasione per un giorno di vacanza in più. E lo stesso vale per la Festa del lavoro che al massimo e l’occasione per andare a sbafo ad un concerto (di qualità assai modesta).
Tutte le feste nazionali sono per loro intima natura, retoriche, rituali e sostanzialmente inutili. Ed allora che facciamo: le aboliamo tutte? Ogni comunità nazionale è organismo tenuto insieme da legami profondi di comunanza culturale, di interesse economico, di solidarietà umana. Ma altrettanto importanti sono anche i legami superficiali di valore prevalentemente simbolico, di contenuto spesso retorico. Si tratta di legami privi di concreta utilità pratica ma fondamentali nel contribuire a creare quel senso di appartenenza indispensabile perché una comunità sia veramente tale. Non crediamo di essere affetti dal virus del nazionalismo, ma ciononostante ci piacerebbe vivere in un Paese nel quale la bandiera, l’inno nazionale, le istituzioni ed i loro simboli venissero sentite da tutti i cittadini come cose di tutti e di ciascuno, prima ed indipendentemente dalla differenze politiche, sociali o geografiche che spesso ci separano. Ed allora viva il 17 marzo 2011 Festa dell’unità nazionale anche se questo ci dovesse costare qualche frazione di Pil in meno e qualche dose di retorica politica in più!