Facebook, l’Africa e il neo-colonialismo digitale
29 Luglio 2017
C’è un enorme mercato che Facebook sta cercando di intercettare per superare la quota di due miliardi di iscritti alla propria rete ed è quello dei Paesi in via di sviluppo: un bacino di qualche miliardo di utenti residenti in Asia, Africa e America Latina. Peccato che in tante aree sottosviluppate, dove spesso non arrivano neppure le condotte per l’acqua potabile, nessuno possa permettersi una connessione Internet a pagamento, né tanto meno uno smartphone.
E’ così che Marck Zuckerberg si è inventato nel 2013 “Free Basic”, un’applicazione che offre nelle aree più povere del mondo delle versioni semplificate, meno pesanti in termini di byte, di Facebook, Messenger e una selezione di siti con news e informazioni su lavoro e salute. L’iniziativa ha suscitato molte critiche mosse dall’evidenza che l’accesso guidato ad alcuni contenuti, piuttosto che ad altri, sia lesiva del principio della neutralità della rete, secondo cui non possono esserci restrizioni arbitrarie sui dispositivi connessi e i servizi fruibili dagli utenti. Zuckerberg ha più volte respinto questa obiezione spiegando che il progetto “sta avendo un forte impatto sulla vita delle persone, fornendo l’accesso a informazioni e servizi gratuiti in ambito sanitario, educativo ed economico”, da cui sarebbero altrimenti esclusi. Ma non convince.
La denuncia più recente è degli attivisti di Global Voices, rete internazionale di blogger, traduttori e media-attivisti, che ha analizzato il funzionamento dell’applicazione in Colombia, Filippine, Ghana, Kenya, Messico e Pakistan. Secondo l’associazione, “Free Basic” sta semplicemente raccogliendo un numero ingente di dati degli utenti, senza dar loro ciò di cui hanno bisogno, e, inoltre, non garantisce l’uso della posta elettronica, il supporto alle lingue locali, l’accesso ai (pochi) servizi del territorio rimandando prevalentemente a siti statunitensi e inglesi. Parlando al Guardian, Ellery Biddle, di Global Voices, parla di “colonialismo digitale“: “Facebook – spiega – non sta portando Internet aperto alle persone, sta costruendo questa piccola rete che trasforma gli utenti in consumatori passivi di contenuti aziendali occidentali”.
L’allarme sollevato dagli attivisti insinua un dubbio che si rafforza pensando che, proprio lo scorso anno, l’India ha respinto il progetto “Free Basic” per garantire ai suoi cittadini neutralità della rete. Dopo mesi di vivace dibattito, l’Authority indiana per le telecomunicazioni (Trai) ha messo al bando con effetto immediato ogni piano che prevede tariffe differenziate per alcuni contenuti digitali imponendo delle pesanti multe per i trasgressori. Attraverso un video e una lettera sui giornali locali, il giovane Zuckerberg ha rivolto un appello alla popolazione indiana per ribadire che la proposta di Facebook non avrebbe leso il principio di neutralità della rete, e che la connessione, l’accesso universale alla rete, è un diritto umano, che la net-generation deve garantire. Andrà aggiornata la Dichiarazione di Parigi del ’48?