Fascismo e strumentalizzazione, la miserabile contabilità degli orrori (di C. Togna)

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Fascismo e strumentalizzazione, la miserabile contabilità degli orrori (di C. Togna)

16 Ottobre 2021

Puntuale, come l’inverno, con l’approssimarsi di un appuntamento elettorale amministrativo e politico si ripresenta “in un eterno ritorno” il dibattito sul pericolo di una rinascita della follia ideologica fascista e nazista, il cosiddetto “fasci-nazismo” non “nazi-fascismo”: quest’ultima è una locuzione, furbesca e tartufesca, per far intendere una primazia temporale del nazismo rispetto al fascismo.

Non è, storicamente, così. Il fascismo autentica, e poco invidiabile, invenzione italiana è stato il precursore e l’ispiratore del nazismo. Non il contrario. La condanna della follia ideologica fasci-nazista è morale, etica e giudiziaria (processo di Norimberga) senza attenuanti.

Se vi è concordia negli studiosi di settore circa l’improponibilità del fasci-nazismo storico nell’attuale realtà democratica occidentale, vi sono invece diverse opinioni sia sulla “ripetibilità” di alcuni principi fasci-nazisti nella società “liquida post industriale” sia sulla necessità, quale indefettibile criterio di analisi, di declinare il fascismo in “fascismi” per poter cogliere i geni di tale follia ideologica all’interno di “contenitori” sociali e politici diversi e di diverso indirizzo politico.

Tali argomenti richiederebbero preparazione, onestà intellettuale, capacità di analisi storico-sociologiche, esami comparativi sulla diversa eziologia del fenomeno fasci-nazista anche in presenza di situazioni antitetiche: basti pensare che il fascismo (ancorché in presenza dell’arditismo e del reducismo) ha attecchito in una Italia vincitrice della prima guerra mondiale ed il nazismo ha attecchito nella Germania sconfitta nella prima guerra mondiale medesima. Con, inoltre, l’enorme tema dello sterminio del popolo ebraico nei campi di concentramento (cosiddetto Olocausto) cui anche l’Italia ha partecipato attivamente.

Nella realtà politica italiana all’attualità si assiste ad una “banalizzazione” del fenomeno da cui già mette in guardia Giorgio Agamben. E’ come se accanto alla “banalità del male” secondo la superba definizione di Hannah Arendt si stia instaurando, soprattutto nei partiti che si richiamano alla sinistra marxista, una sorta di “banalità del bene” autoriferito. In buona sostanza, il tema dei “fascismi” viene utilizzato dai partiti della sinistra in una duplice valenza: quella di autoproclamarsi quali soggetti politici legittimati a conferire patenti di democrazia agli altri partiti (di opposte e/o diverse opinioni) e quella, più strumentale, di “etichettare” l’avversario in una cornice di “non umanità democratica” contro cui non è possibile, quasi, difesa e nella quale ci si trova sempre costretti a provare, in una sorta di “probatio diabolica”, la propria fede democratica.

Diventa quindi necessario stabilire, anche intellettualmente, una linea interpretativa dei fatti rispettosa dell’oggettività.

I fatti di Roma di sabato scorso con l’attacco alla CGIL da parte  di persone appartenenti alla formazione denominata “Forza Nuova” sono orribili ma, ad una corretta analisi, rientrano più nella delinquenza comune, ancorché politicamente orientata, che in una emergente ideologia fascista di nuovo conio egemonizzatrice delle masse. Ancora più strumentale appare quindi, da parte della sinistra, attribuire simili eversive follie ideologiche ad altri partiti di centrodestra, e in particolare a Fratelli d’Italia, che nulla c’entrano con tali violenze e mai le hanno tollerate od avallate. In coerenza con tale linea di pensiero autolegittimante appare la richiesta di collocare il partito Fratelli d’Italia al di fuori dell’arco democratico in forza di una contiguità, autoasserita dalla stessa sinistra, con ambienti neofascisti.

Per dar forza a tale argomentazione studiosi della Costituzione repubblicana (abbastanza improvvisati) farebbero discendere la necessità di tale scioglimento dalle norme della nostra Carta che vietano la ricostituzione, sotto ogni forma, del disciolto partito fascista. A tali bizzarre tesi politiche e costituzionali si oppongono non le argomentazioni mai i fatti stessi.

Uno: il partito Fratelli d’Italia, come tutti i partiti presenti in Parlamento, ha superato il vaglio delle competenti autorità di entrambe le democraticità, sia quella interna che quella esterna. Quindi nessuna possibilità di analogie per proprietà transitiva con il disciolto partito fascista.

Due: le norme transitorie della Costituzione della Repubblica Italiana vietano la ricostituzione del partito fascista per il semplice evidente fatto che in Italia vi è stata la dittatura fascista. Se in Italia vi fosse stata la dittatura di Pol Pot e dei Khmer Rossi la Carta avrebbe vietato la ricostituzione del partito comunista. Quindi la Costituzione italiana non poteva che vietare la ricostituzione del partito dittatoriale italiano e cioè quello fascista. Infatti il punto 12 delle disposizioni transitorie e finali della costituzione della Repubblica Italiana non vieta la riorganizzazione del partito nazista tedesco. Ma a nessuno verrebbe in mente di sostenere che la nostra Costituzione potrebbe tollerare un simile partito.

Questo per dire che la nostra Costituzione non condanna le ideologie estremiste solo quando assumono (o le si fanno assumere) la veste formale del fasci-nazismo di destra: condanna tutti gli estremismi, tutte le ideologie che nella sostanza conducono a principi di orrori in fatto identici a quelli del fasci-nazismo.

Sfido chiunque a trovare differenze tra l’uccisione di un neonato con le baionette nei campi nazisti e l’uccisione dei neonati contro gli alberi da parte dei Khmer Rossi. Non vi è graduatoria nell’orrore né ideologia che li possa diversificare né Costituzione che possa operare dei distinguo.

La strumentalizzazione dei partiti della sinistra si spinge anche a cercare nelle frasi dei candidati del centrodestra nelle attuali amministrative elementi per avvalorare, in una sorta di analisi autoavverante, i germi della follia fasci-nazista. Prendiamo il caso dell’avvocato professor Michetti. Ha tentato di dire, con frase non felicissima di cui si è scusato, che gli orrori non possono misurarsi quanto a contabilità e che anche quello delle foibe è un orrore. E cioè che non vi può essere spazio negli orrori di un elemento quantitativo che faccia divenire l’orrore più orrore di un altro. Certo l’avvocato Michetti poteva (e doveva) evitare il riferimento allo “status” delle vittime. Ma le vittime son tutte vittime: anche quelle dei regimi comunisti come il partito comunista cambogiano di Pol Pot.

La storiografia ha appurato che in Cambogia con il partito comunista Angkar con a capo Pol Pot sono stati uccisi circa tre milioni di cambogiani. I Khmer Rossi volevano trasformare la Cambogia in una repubblica socialista agraria fondata sui principi del maoismo e Pol Pot e Khmer Rossi erano stati a lungo sostenuti dal partito comunista cinese (e dal suo presidente Mao Zedong) e furono influenzati dalla rivoluzione culturale cinese. Questo orrore di segno comunista è meno orrore delle foibe o dell’olocausto o gli orrori si qualificano nella quantificazione per il principio più morti più orrore?

Nella follia ideologica fasci-nazista vi è, indubitabilmente, un nucleo di principi adattabili a follie ideologiche di opposto estremismo. E tutto il mondo democratico deve vigilare affinché nessuna follia ideologica, sia che assuma il profilo del nero nazista sia che assuma il rosso del partito comunista cambogiano (o di quello stalinista o di quello cinese), possa trovare giustificazione. Ma tutte. Non solo una a seconda delle reciproche convenienze.

Fa riflettere il fatto che in Cambogia la maggior parte dei prigionieri non sapesse nemmeno per quale motivo fosse stata imprigionata e, qualora avessero avuto il coraggio di chiedere alle guardie, esse avrebbero risposte che Angkar (il Partito Comunista di Kampuchea) “non commette mai errori”. C’è di che meditare. Tutti.