Fastweb, Scaglia nel pomeriggio a Regina Coeli. Parisi difende l’azienda

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Fastweb, Scaglia nel pomeriggio a Regina Coeli. Parisi difende l’azienda

25 Febbraio 2010

"Fastweb è sana, è una grande azienda di qualità e di persone oneste. Essere associata alla più grande truffa con lavaggio di denaro sporco ci colpisce nella nostra attività e nella nostra reputazione". Stefano Parisi, dopo la conferenza stampa fiume di ieri a Milano, usa i microfoni di Radio 24 per gridare l’innocenza della società di Tlc e a Oscar Giannino ribadisce: l’azienda è vittima di un "violentissimo danno di immagine" dovuto al fatto di essere stata "associata a fatti criminali gravissimi".

Il richiamo del ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola, arrivato in mattinata, è durissimo: "Ogni iniziativa giudiziaria che vuole riportare la legalità è ben accolta ma non c’è dubbio che ogni iniziativa giudiziaria ha dei contraccolpi. C’è bisogno di una moralità più forte ma anche di non destabilizzare il sistema".

Intanto, in attesa che Silvio Scaglia, l’altro grande accusato nell’inchiesta della Procura di Roma, prenda un volo per Roma (si dovrebbe presentare nel pomeriggio di oggi al carcere romano di Regina Coeli), Parisi respinge ogni accusa in merito a fondi neri: "Fastweb non ha e non ha mai avuto fondi neri. Sfido chiunque a trovare una qualsiasi evidenza di fondi neri, e neppure ha mai fatto contabilità separata o segreta". Parla quindi di "totale trasparenza dei conti della società", quotata dal 2001 e supportata anche dalle "valutazioni molto accurate" di Swisscom, che l’ha acquisita nel 2007.

Anche sul fronte del commissariamento, Parisi non usa mezzi termini: "Credo che sia un delitto e un uso improprio della legge. Se il commissariamento serve a verificare che non si verifichino reati di questo tipo, ricordo che quella attività non c’è in Fasteweb – ha detto l’Ad – da tre anni e mezzo e abbiamo dato tutte le evidenze possibili alla magistratura. Ora mettere a rischio un’azienda dove lavorano 3.500 persone e con 1,6 milioni di clienti, credo sia un delitto".

Già ieri, escludendo le sue dimissioni, il manager era stato chiaro. "Non penso che ci troviamo in un Paese in cui si possa spegnere un’azienda", aveva appunto replicato a chigli paventa il rischio di un commissariamento in assenza di un suo passo indietro. Fino alla scadenza del mandato, con l’assemblea del 24 marzo, Parisi è dunque intenzionato a restare in sella. Se si verificasse comunque il commissariamento, ha assicurato l’Ad, la continuità aziendale di Fastweb sarebbe comunque garantita: "L’azienda non chiude le sue attività. Il commissariamento è una misura cautelare che penso sia circoscritta alla verifica che l’azienda non commetta reati e non sottragga le prove".

Anche rispetto ai due impiegati di Fastweb arrestati per i legami con la malavita organizzata, come risulta dalle intercettazioni telefoniche, Parisi ha rilevato che "è stato perpetrato un atto criminoso alle spalle di Fastweb. Non potevamo saperlo. Appena abbiamo appreso, nel 2006, delle indagini da parte della Procura della Repubblica abbiamo chiuso anticipatamente i contratti coinvolti, abbiamo realizzato vari audit interni e tutte le informazioni relative compaiono nei bilanci dal 2008 in piena trasparenza". E sui controlli interni Parisi ha evidenziato come "Fastweb non può verificare se le persone fuori dall’ufficio facciano affari che danneggiano l’azienda. Quindi non posso escludere il coinvolgimento di altri dipendenti, oltre i due di cui si sa già".

L’azienda, ha spiegato l’Ad, era convinta che il traffico telefonico ceduto alle ‘cartiere’ fosse "reale e non fittizio. Noi facciamo attività commerciale non attività di indagine sui nostri clienti", ha detto Parisi, aggiungendo che "per Fastweb la consapevolezza della falsità del traffico era difficile da avere, tanto che anche alla Procura «ci sono voluti tre anni di indagine per capire che si trattava di una truffa". Inoltre Fastweb, non appena saputo dell’avvio delle indagini (era il novembre 2006), "ha interrotto i rapporti con le società terze coinvolte". Per quanto riguarda poi la frode fiscale, Parisi ha ricordato che la sua società ha pagato ai suoi fornitori 38,5 milioni di euro a titolo di Iva e che sono stati i fornitori a non versarlo all’erario: "E’ andato a loro il vantaggio fiscale non a noi". Tra l’altro in quel periodo i crediti Iva di Fastweb erano già abbondanti".

Poco prima che cominciasse la conferenza stampa a Milano, Saglia, il fondatore dell’azienda finita con Telecom Sparkle nell’occhio del ciclone, aveva detto di voler "parlare al più presto con i magistrati per poter rispondere dei fatti che mi sono stati attribuiti".