Feroce repressione contro gli operai in Iran
24 Luglio 2008
di Amir Taheri
Un anno fa, il 12 luglio 2007, Ali Khamenei ordinava il rapimento del leader sindacalista Mansour Osanloo. Agendo in questo modo, il mullah più potente dell’Iran sperava di stroncare sul nascere il movimento sindacale indipendente che Osanloo aveva lanciato nel 2005, con l’aiuto di diversi colleghi tra i conducenti di autobus a Teheran.
Un anno più tardi, Osanloo è ancora in prigione, condannato a cinque anni con l’accusa di “minacciare la sicurezza della Repubblica Islamica”. Eppure, nel frattempo, il movimento di libera-associazione da lui ispirato si è diffuso in un lampo.
Tutti i lavoratori nel campo dei trasporti, a Teheran ed in periferia, si sono rifiutati di sciogliere il loro sindacato ed hanno respinto i mullah designati da Khamenei come loro leader.
I lavoratori delle industrie automobilistiche, petrolchimiche e dell’edilizia, hanno creato le proprie associazioni indipendenti, come già hanno fatto insegnanti, minatori, portuali e panettieri. Il Workers Organizations and Activists’ Coordination Council (WOACC), un’organizzazione che ingloba le libere associazioni, ora vanta più di 700 gruppi in tutto l’Iran, con quasi 2 milioni di membri.
All’inizio di questo mese, i 6000 lavoratori della raffineria e piantagione di zucchero di Haft-Tapeh, la più grande in tutto il Medioriente, hanno annunciato la nascita di un proprio sindacato indipendente, dopo un anno intero di scioperi e manifestazioni, che hanno portato a violenti scontri con le forze di sicurezza e all’arresto di 20 sindacalisti.
Osanloo è trattenuto nella terribile prigione di Evin, dove il regime islamista rinchiude i peggiori criminali. Attraverso una dichiarazione rilasciata dalla sua famiglia, ha accusato le autorità di “maltrattamenti sistematici, insulti ed abusi”. Afflitto da un’infezione all’occhio e malato di cuore, l’eroe del sindacato si vede negato il permesso di ricevere le cure adeguate.
Nonostante “l’intensa pressione psicologica ed i problemi fisici” Osanloo si è rifiutato di richiedere lo scioglimento dei sindacati indipendenti, con un ritorno alle “associazioni di lavoro islamiche” controllate dai mullah.
I lavoratori stanno emergendo velocemente come la maggior minaccia al ruolo dei mullah.
Durante tutto lo scorso anno, il paese è stato testimone di centinaia di scioperi, alcuni dei quali hanno coinvolto decine di migliaia di lavoratori. Il regime ha risposto con una brutale repressione, attraverso l’organizzazione di teppisti armati noti come Ansar Hezbollah (Sostenitori di Hezbollah), per interrompere gli scioperi, picchiare a sangue i manifestanti e rapire i sindacalisti.
Nell’ultimo incidente, le bande di Hezbollah ad aprile hanno attaccato i lavoratori in sciopero nella Kiyan Tire Factory a Char-Dangeh con manganelli elettrici, causando il ferimento di dozzine di persone, ed il rapimento di più di 100 uomini.
WOACC ha inoltre riportato la notizia di almeno 20 “morti sospette” durante lo scorso anno: si tratterebbe di operai che si pensa siano caduti vittime dei killer di Hezbollah. Il Ministero del Lavoro Islamico ha archiviato le morti come “incidenti sul posto di lavoro”.
Nessuno sa con precisione quanti siano i lavoratori agli arresti: la cifra stimata da WOACC è di oltre 4000. Ed in più, in migliaia ancora vengono prelevati per poche ore o per pochi giorni, picchiati, maltrattati, minacciati e rilasciati. “Ogni giorno, milioni di persone si recano a lavoro nell’Iran islamico in uno stato di angoscia e paura” racconta un’attivista di WOACC. “Fondamentalmente, il terrore è lo strumento principale di controllo sociale nel nostro paese”.
Il regime non si affida solamente alla violenza per stroncare i movimenti dei lavoratori. Il Presidente Mahmoud Ahmadinejad ha presentato delle leggi volte ad abolire la maggior parte dei diritti ottenuti dai lavoratori iraniani negli ultimi 100 anni. Il ragionamento si basa sulla rivendicazione del fatto che l’Islam non riconosce una divisione della comunità dei fedeli tra datori di lavoro e dipendenti, e respinge i codici di lavoro internazionali “creati dai Sionisti e dai Crociati”.
L’amministrazione di Ahmadinejad ha inoltre abolito la maggior parte dei limiti legali nel “lavoro in appalto”.
Rajab-Ali Shahsavari, sindacalista indipendente e leader dell’Association of Contractual Workers, ha riferito che più dell’85% di coloro che sono impiegati nel settore-privato, al momento lavora con contratti a breve termine, con una scadenza che va da appena un giorno ad un mese. “Questa è schiavitù nel nome dell’Islam” afferma Shahsavari. “Oggi in Iran i lavoratori si trovano in una situazione peggiore rispetto agli schiavi nell’antichità”.
Il regime, inoltre, sta tentando di isolare il movimento dei lavoratori accusando alcuni dei suoi leader di nascondere piani etnici ed ideologici. Ad esempio, ha accusato Mahmoud Salehi, il noto leader sindacalista imprigionato nella provincia del Kurdistan, di essere “un comunista segreto” ed un “secessionista curdo”. Accuse queste talmente ridicole che non si è avuto il coraggio di intentare una vera causa – neanche nel finto processo organizzato contro di lui.
Purtroppo la lotta dei lavoratori iraniani contro uno dei regimi più malvagi al mondo, deve ancora ricevere la giusta attenzione da parte delle maggiori democrazie, compresi gli Stati Uniti. Tranne una o due eccezioni (tra cui The Post), i media americani sembrano aver ignorato quella che potrebbe essere la storia più importante in Iran.
© New York Post
Traduzione Benedetta Mangano