Fertility Day: la paura della clessidra, il rifiuto della verità
02 Settembre 2016
Ma perché l’immagine di una clessidra fa tanta paura? Perché tutti questi commenti nervosi, acidi, perfino cattivi, nei confronti di una banalissima verità, e cioè che è estremamente difficile – per non dire impossibile – essere madri oltre una certa età? Gli attacchi nei confronti della campagna di informazione e prevenzione sulla fertilità, detta “fertility day”, sono stati tali da spingere Renzi a sconfessare l’iniziativa, mentre la Lorenzin è stata costretta a correggere il tiro. L’assalto mediatico è iniziato con Saviano, ma l’elenco di chi lo ha seguito è lungo e vario. Inutile riportare le dichiarazioni sciorinate da personaggi di ogni tipo, a destra e sinistra; da tutte trapelava un fastidio profondo nei confronti del concetto centrale della campagna, i limiti naturali della genitorialità.
Il limite biologico appare inaccettabile, non si può ricordare che esiste, è politicamente scorretto. Se si fosse trattato di una campagna a favore della fecondazione artificiale, della maternità surrogata, delle adozioni gay (e Saviano oggi suggerisce alla Lorenzin di fare proprio questo), cioè di tutti quei metodi che mirano a superare le modalità naturali del concepimento, non ci sarebbe stato lo stesso scandalo. Sarebbe nato un dibattito, si sarebbero sentite voci contrapposte, ma non lo stesso muro di rifiuto, la stessa levata di scudi provocata dalla semplice allusione all’orologio biologico, cioè alla natura, al corpo, ai suoi ritmi e cambiamenti inevitabili. Nel tempo in cui la natura è osannata, in cui i rimedi, i cosmetici, le terapie devono essere naturali, la fecondità e i suoi tempi naturali sono invece un tabù.
Bontà sua, Renzi ha riconosciuto che il problema dell’inverno demografico esiste, ma se l’è cavata sostenendo che “un cartellone non ha mai convinto nessuno a fare figli”. Non è nemmeno vero, visto che la sorprendente campagna danese, tutta imperniata sul concetto “fai figli per il tuo paese”, ha avuto incredibilmente buoni risultati. Il nostro premier ha virato sulle solite ricette: servono asili, lavoro, ecc, senza ricordare che se queste sono le soluzioni, tocca solo a lui applicarle. Ma il problema è più complesso; i fattori culturali del calo drammatico di nascite in occidente sono preponderanti rispetto a quelli economici, e basterebbe un solo dato per capirlo: il paese che fa meno figli di tutta l’Europa, il vero fanalino di coda della natalità, è la ricca Germania, che pure ha messo in atto da tempo efficaci politiche di aiuti alle famiglie e che ha un tasso di disoccupazione tra i più bassi della Ue.
Le politiche di sostegno alle coppie con figli sono necessarie e soprattutto doverose, ma non bastano per far salire la curva demografica. C’è una questione culturale evidente e scottante, che nessuno ha davvero voglia di affrontare, perché bisognerebbe mettere in discussione modelli consolidati, stili di vita, idee diffuse che sono diventate intoccabili. E gli attacchi un po’ isterici di questi giorni all’inoffensiva immagine di una donna con la clessidra in mano lo dimostrano: non voglio sapere che la fertilità ha i suoi tempi, non voglio sapere che gli anni cambieranno il mio corpo, che gli esseri umani sono limitati e la natura ha le sue leggi. Come canta Patty Pravo, “la cambio io la vita che non ce la fa a cambiare me, portami al mare, fammi sognare, dimmi che non vuoi morire”.