Fobie e foibe della memoria
06 Febbraio 2019
di Aldo Vitale
Il giorno 10 del mese di febbraio si celebra la giornata della memoria per le vittime delle foibe, instituita con la legge 92/2004 dello Stato italiano. Per troppo tempo adombrate dal silenzio mendace, dalla adesione ideologica della cultura dominante e dalla convenienza politica, migliaia di vittime di uno dei più atroci e sanguinari “momenti” della storia europea in genere e patria in specie, sono state scacciate di peso fuori dalla memoria nazionale, dalla storia italiana, dalla coscienza culturale. Delle foibe si è parlato sempre troppo poco nei decenni della storia repubblicana, e spesso male e in modo superficiale, riduttivo e sminuitivo per via della connivenza dei rappresentanti dei partiti comunisti d’Italia e di Slovenia. Le foibe, così, come del resto il coevo esilio delle popolazioni Istriane e Giuliano-Dalmate, sono state cancellate del tutto dai libri di testo scolastici e generazioni di Italiani hanno ignorato la drammatica verità. Sono state taciute le colpe, le responsabilità, le cause, le conseguenze, le complicità.
I testi, ancora purtroppo pochi a tutt’oggi, che per lo più si sono soffermati sull’argomento hanno riportato che le foibe altro non sono se non delle strutture geologiche carsiche utilizzate nell’immediato dopoguerra, e per brevi e fugaci occasioni, per la “regolazione dei conti” con qualche esponente del decaduto regime fascista italiano. In effetti sono delle strutture geologiche, simili a grotte, che si sviluppano verticalizzando in profondità anche di alcune centinaia di metri. In queste grotte, però, furono, con lucida quanto sistematica organizzazione pari a quella nazista, perpetrati scellerati crimini di guerra, crimini contro l’umanità e crimini di genocidio a danno delle popolazioni italiane residenti in Istria, Dalmazia e Slovenia. Con efficienza e precisione furono sterminati migliaia di Italiani. Non erano soltanto pochi esponenti del regime fascista. Si trattava, per lo più, infatti, di gente comune, di bambini, donne, anziani, postini, militari, medici, avvocati, ingegneri, impiegati comunali, carabinieri, artigiani, imprenditori, commercianti, insegnanti. Una sola cosa univa tanta gente e così eterogenea, così varia, così multiforme: la loro appartenenza al ceppo italico; il loro essere italiani. Malvisti, malsopportati, odiati perché viventi in territori che gli sloveni ritenevano di loro titolarità.
Appena decaduto il regime fascista, nelle “calde” giornate del luglio del 1943, fin da subito incominciarono contro gli italiani i primi arresti, le prime deportazioni, le prime condanne in seguito a processi sommari, il tutto per ben quattro anni, anche oltre la fine ufficiale della guerra, fino al 1947 circa. Per molto tempo, con costanza e continuità, e non semplicemente per brevi attimi, come molti falsamente affermano, a Basovizza, a Ternovizza, a Cernovizza, a Orle, a Vines, a Rozzo, e in ben altri 130 luoghi diversi, si celebrarono gli orridi “rituali” dell’infoibamento: si precipitavano nelle foibe decine e decine di persone, il più delle volte mentre erano ancora in vita, spesso legate fra loro per i piedi e per le caviglie con filo spinato o con apposite funi; quindi si procedeva ad un copioso lancio di granate e di ulteriori raffiche di mitraglia; infine, tutto veniva seppellito, occultato e dolosamente dimenticato. Le truppe dei partigiani sloveni, fedeli all’Unione Sovietica, in collaborazione con le regolari truppe di Tito e a volte anche con alcuni partigiani italiani che facevano diretto riferimento al PCI, iniziarono una selvaggia quanto feroce caccia all’uomo nei confronti degli italiani. Da quel momento molti italiani furono costretti a fuggire da quei territori che da sempre avevano chiamato “casa”. Furono obbligati a lasciare Zara, Pola, Fiume, Trieste, solo per citare i centri più importanti.
Gli altri, quanti non vollero o non riuscirono a fuggire, passarono per le sottili lame del carnefice. Un carnefice singolare, che estendeva la propria ferocia nello spazio e nel tempo. Nello spazio in quanto vi era la collaborazione degli sloveni, di alcuni partigiani comunisti italiani e dell’approvazione dei dirigenti di vari partiti: del PCI, del PCUS (Partito Comunista dell’Unione Sovietica) e di quello sloveno. La responsabilità più grave la ebbero comunque i dirigenti italiani in quanto, nonostante la concittadinanza delle vittime e pur essendo a conoscenza dei fatti, tentarono, riuscendoci, a sottacere tutto per interi decenni. Ecco dunque profilarsi la seconda caratteristica del carnefice: il suo estendersi perfino nel tempo. I partiti coinvolti e le fazioni politiche appartenevano a diversi Stati, a differenti nazionalità, ma quando la pratica degli infoibamenti si concluse il carnefice passò dalla dimensione spaziale a quella temporale.
Il PCI fu da quel momento il vero, unico, assoluto, depositario della gestione della cultura e della vita intellettuale del paese. Non è un mistero, infatti, che il PCI rinunciò alla rivoluzione proletaria lasciando sostanzialmente le difficoltà della ricostruzione postbellica agli altri partiti, preferendo piuttosto accaparrarsi le strutture chiave della formazione culturale della società, seguendo in proposito con meticolosa dovizia, le istruzioni di Mosca. Rispolverando la vecchia dottrina gramsciana dell’occupazione delle “casematte dello Stato”, quali sono la scuola, l’università, le case editrici, le testate giornalistiche, l’apparato giudiziario (Quaderni dal carcere 11,12), il PCI mise in pratica tale dottrina: con velocità, efficienza e sicurezza, per aggiudicarsi i centri chiave della società italiana e per oscurare tutti i misfatti e i crimini del socialismo reale i genere, e in particolare la tragedia dell’esilio giuliano-dalmata e delle foibe. La giornata della memoria, dunque, serve proprio per combattere questo muro di omertà ideologica che per settant’anni ha imprigionato la verità avendo per carcerieri tanti intellettuali vicini al PCI. Il ricordo di queste vittime, dunque, nonostante ancora oggi, purtroppo, alcuni tentino tanto goffamente quanto gravemente di mistificare la storia dichiarando che le foibe non sarebbero mai esistite, significa celebrare la vittoria della dignità umana contro il totalitarismo che l’ha negata, e testimoniare, con le parole di Tzvetan Todorov, che «la vita ha perso contro la morte, ma la memoria vince nella lotta contro il nulla».