Forse è un complotto anche quello di chi vede complotti dappertutto
12 Ottobre 2008
Le Giornate internazionali di studi italiani dell’Università di Genova dirette da Dino Cofrancesco che si sono tenute come ogni anno nel mese di settembre a S. Margherita erano dedicate in questa edizione al tema della Satira politica. Ho preparato un intervento su un esempio notevolissimo di satira politica: il film di Mario Monicelli Vogliamo i colonnelli. Il film è del 1973, la sceneggiatura è dello stesso regista coadiuvato da Age e Scarpelli. Ma non voglio riproporre il mio intervento in questa sede. Il film mi ha spinta a leggere un volume che avevo sul tavolo da un anno e non avevo mai trovato il tempo di aprire. Si tratta del quaderno n.3 degli Almanacchi Guanda dedicato, appunto, al Complotto. La formula è efficace e andrebbe moltiplicata: la raccolta di articoli di autori diversi dedicata a un tema particolare, e magari sfizioso come è – non lo si può negare – il tema del complotto. Il risultato non è forse all’altezza delle intenzioni, soprattutto per le ripetizioni fra un intervento e l’altro: è sicuramente difficile dire a Umberto Eco di tagliare, ma se si cura un volume bisogna avere il coraggio di farlo. Sono apprezzabili però la scelta del tema, i nomi degli autori, tutti gli interventi senza eccezione, e fra questi si segnalano alcuni gioielli come le pagine di Filippo Ceccarelli, argute, godibili, ben scritte.
Due parole sulla pellicola dalle quali ho preso le mosse: come si ricorderà, tutto nel film ruota attorno al complotto. Le tesi di Monicelli, nell’ordine, sono le seguenti: che l’ossessione del complotto (assai diffusa nell’Italia di quegli anni) è appunto un’ossessione; qualche complotto però esiste davvero; i complotti temuti dalla sinistra sono grotteschi; i complotti autentici sono ben più a-ideologici, freddi e razionali di quelli temuti. "Vogliamo i colonnelli" narra il fallimento grottesco del piano segreto ideato da un gruppo di parlamentari e generali di destra e il successo, al suo posto, di un golpe antidemocratico e antiliberale ma più composto e meno nostalgico del fascismo dell’altro. Il film parla, dicevo, di un tema importante e serio malgrado gli sberleffi geniali e sottili del regista: del complotto e della mentalità complottista o dietrologica, quella che in ogni evento, in ogni accadimento, vede una congiura, vede in opera forze oscure che tramano nell’ombra, e che fa di quelle trame segrete la spiegazione di fondo, mai attingibile però, della storia manifesta, della storia visibile ai comuni mortali. Di questo stesso argomento tratta l’Almanacco Guanda dell’anno scorso.
Un esempio classico (e drammatico) di complotto è quello dei Protocolli dei Savi di Sion: apocrifo nel quale gli Ebrei sono presentati all’opera in tutto il mondo per prendere il potere. Un altro esempio classico di dimensioni più mansuete è la massoneria, vista come gruppo di affiliati segreti che tramano fra loro nei settori più vari. Possiamo citare le famose parole di Karl Popper a proposito dell’ossessione del complotto. In un capitolo di Congetture e confutazioni, Popper scrive: "La teoria sociale della cospirazione, più primitiva di molte forme di teismo, è simile alla teoria sociale di Omero. Secondo la concezione omerica del potere divino, qualunque cosa accadesse sulla piana di Troia era solo un riflesso dei vari complotti in atto nell’Olimpo. La teoria sociale della cospirazione non è che una forma di quel teismo, di una fede in divinità i cui capricci e desideri governano ogni cosa. Deriva dall’abbandono di Dio e dalla conseguente domanda: ‘Chi c’è al suo posto?’ Quel posto viene quindi occupato da vari uomini e gruppi di potere, sinistri gruppi di pressione sui quali deve ricadere la colpa di aver progettato la Grande depressione e tutti i mali di cui soffriamo". E prosegue: "La teoria sociale della cospirazione è assai diffusa, e contiene pochissima verità". In genere, afferma Popper, queste teorie falliscono "perché uno dei dati sconcertanti della vita sociale è che nessuna azione ha mai esattamente il risultato previsto. Le cose alla fine risultano sempre un po’ diverse. Nella vita sociale non si riesce quasi mai a produrre esattamente l’effetto desiderato, e di solito si ottiene anche qualcosa che non si voleva." Conoscere queste conseguenze indesiderate è compito delle scienze sociali, a suo parere. E conclude: "Chi si avvicina alle scienze sociali con una teoria della cospirazione già pronta si preclude la possibilità di comprendere quale sia il compito delle scienze sociali, perché dà per assodato che nella società si possa spiegare praticamente tutto domandandosi chi l’abbia voluto, mentre il vero compito delle scienze sociali è spiegare proprio le cose che nessuno vuole come per esempio una guerra o una depressione".
E’ vero, tuttavia, che di complotti ne sono esistiti davvero, ad esempio e in concentrazione abbastanza fitta nell’Italia degli anni ‘60 e ‘70: quello di Junio Valerio Borghese e quello della Rosa dei venti, fino al più vicino a noi, Gladio, con la straordinaria figura di Pio Pompa che sembra uscita direttamente dal film di Monicelli. Si sono verificati nell’Italia di quegli anni eventi la cui dinamica è rimasta nell’ombra, misteri: uno per tutti Ustica. E il complotto, come l’Almanacco sottolinea, intrattiene rapporti strettissimi con il mistero. Ci sono stati servizi segreti attivi e magari pasticcioni, infiltrazioni, delitti impuniti come quello di Roberto Calvi impiccato al ponte dei Blackfriars o del giornalista Mino Pecorelli o ancora di Michele Sindona, vi sono stati rapimenti e uccisioni di uomini politici la cui ricostruzione cozza ogni volta con documenti scomparsi e poi riapparsi, distrazioni, camuffamenti, insomma con uno strato talmente alto di coperture e controcoperture che è pressoché impossibile procedere a una ricostruzione rigorosa dei fatti.
In questa situazione si immaginano grandi vecchi, Giulio Andreotti in testa, menti diaboliche che decidono nell’ombra la sorte di Moro o di Sossi, di Emanuela Orlandi o di Cirillo, emergono gole profonde che danno una o un’altra versione delle cose, a seconda degli interessi che hanno, delle piste che vogliono aprire o chiudere, e chiudere proprio perché le sta aprendo un tipo come loro. Ma si tratta sempre di ricostruzioni incomplete, forse necessariamente incomplete. E’ giusto, giustissimo, affermare che nella storia le cose si spiegano più facilmente e in modo più comprensivo con cause diverse dal complotto: il complotto è un modo semplificato al massimo di spiegare eventi complessi. E’ monocausale e determinista: c’è una sola causa, che spiega da sola tutto ciò che è accaduto.
Uno degli esempi più belli di complotto è quello che è stato evocato a proposito dell’11 settembre: i terroristi islamici che hanno distrutto le torri gemelle non esisterebbero e sarebbero una abile mossa dell’amministrazione statunitense per scatenare una guerra contro l’islamismo con il fine di modificare a loro vantaggio gli equilibri geopolitici mondiali. Stupisce (ma solo fino a un certo punto) che uno storico come Franco Cardini ci creda, come riafferma nel suo intervento in questo Almanacco. Tuttavia, detto tutto questo, restano i gruppi extraparlamentari di destra e di sinistra infiltrati dai servizi e che si infiltravano a loro volta, resta la P2, resta il caso Moro costellato di punti interrogativi, restano le trame nere che hanno segnato la storia italiana e sulle quali c’è ora il libro interessante di Mimmo Franzinelli pubblicato da Mondadori. Più si legge su quegli anni, più si scopre che il gioco delle trame e controtrame non era solo un’ossessione. Fra l’altro, si tende a identificare il complotto con la destra, ma anche a sinistra ce ne sono esempi notevoli: pensiamo a tutta la storia dello stalinismo e post-stalinismo, a tutte le prigionie, morti, vendette, scomparse, infiltrazioni, a cui ha dato luogo.
Che conclusione possiamo trarre? Si dovrebbe essere cauti nel destituire sempre e in ogni caso di validità l’idea del piano segreto. O meglio, sembra di poter dire che il complotto generalmente si trova proprio là dove non ce lo aspetteremmo affatto, tra personaggi che non hanno niente di esoterico, poco di misterioso e molto, invece, di pragmatico. Del resto, lo stesso Popper non nega affatto che i complotti esistano davvero: ma precisa che mai o quasi mai si realizzano nel modo in cui gli attori coinvolti si aspettano. Il complotto è una scorciatoia sia quando viene ideato sia quando viene usato (a torto o a ragione) come spiegazione degli eventi: quando viene ideato, aspira a saltare tutta la fase lunga, aggrovigliata e fastidiosa della discussione, della preparazione, del convincimento, del raggiungimento del consenso su un progetto. Quando invece lo si utilizza come spiegazione, evita la ricerca precisa, la verifica puntuale, il legame tra elementi diversi nel tentativo non facile di raggiungere una spiegazione che funzioni. Ma attribuisce questa fretta agli avversari, e vede trame dove sono solo fatti di ardua lettura. Crede però che il consenso, una volta raggiunto il potere, arriverà automaticamente.
Mi ha sempre colpito fra i terroristi la loro delusione, il loro sconcerto, la loro incredulità, quando si accorgono che il popolo, le masse, la maggioranza del paese, non solo non li segue ma li considera volgari assassini. Da questo punto di vista "Vogliamo i colonnelli" è esemplare nel mostrare la follia delle teorie del complotto, ma al tempo stesso la possibilità di golpe più seri e più silenziosi degli altri. Il film sceglie l’unico modo accettabile per dirlo, non predicatorio, non allarmista, non generalizzante: quello dell’ironia, della presa in giro, della satira politica. La satira è rivolta in due direzioni: contro la ossessiva visione di complotti sotto ogni fatto, da un lato, e contro i golpe che potrebbero davvero verificarsi, dall’altro. Così il nostro regista si dimostra realista e disincantato, ma non tanto realista e disincantato da non credere che alcuni complotti davvero pericolosi potrebbero diventare realtà, un giorno o l’altro. Con una precisazione importante, però: sia dei complotti possibili sia di quelli immaginari non potremo mai dire niente con certezza, poiché su di loro regna la eterogenesi dei fini, ovvero la casualità più assoluta. E’ così facendo che Monicelli dimostra la sua saggia e arguta grandezza.
Ranieri POLESE (a cura di), Almanacco Guanda dedicato a Il complotto. Teoria, pratica, invenzione, Parma, Guanda, 2007, pp. 215, euro 22.