Fra sei mesi te lo prometto (di G. Quagliariello)
25 Luglio 2021
Per l’ufficialità bisognerà attendere ancora qualche giorno, ma nella sostanza si è ormai aperto il semestre bianco: il tempo nel quale le Camere non possono essere sciolte. Il 2 agosto, data nella quale formalmente mancheranno sei mesi alla scadenza del mandato del Presidente della Repubblica, è infatti alle porte e anche nell’astratta ipotesi di una crisi di governo essa non avrebbe in una settimana i tempi tecnici per sfociare nella fine anticipata della legislatura.
Secondo i classici della letteratura politica il semestre bianco è un periodo di grande incertezza governativa: il fatto che la caduta di un esecutivo non comporti rischi per la permanenza in carica di deputati e senatori fa venir meno un incentivo all’instabilità. E parte della storia di questa legislatura ne è in qualche modo la conferma, perché prima dell’intemerata di Matteo Renzi (alla cui azione, pur non nutrendo nei suoi confronti alcuna simpatia, va dato atto di essere stata il fattore determinante per l’avvicendamento tra Conte e Draghi) era opinione comune che la resa dei conti con il governo di Giuseppi sarebbe scattata insieme agli ultimi sei mesi del settennato quirinalizio.
Il semestre che sta per aprirsi è destinato a smentire il cliché. Non sembra infatti che sull’esecutivo di Mario Draghi possano addensarsi nuvole all’orizzonte, tantomeno che la sua tenuta abbia minacce da temere. E questo per diverse ragioni.
Innanzitutto, c’è la consapevolezza che il prestigio del premier si è riverberato sul nostro Paese il quale, a conti fatti, ha goduto in questa fase di un trattamento privilegiato in sede internazionale e soprattutto a livello europeo. Detto più chiaramente: i soldi del Recovery sono stati dati a Draghi più che all’Italia, e non si scorge all’orizzonte nessuno che abbia la forza di mettere in dubbio questo risultato.
La seconda ragione che lascia intuire una fase di stabilità è ben esemplificata dal fatto che il premier possa in una stessa giornata prendersela con Conte sulla giustizia e con Salvini e sui vaccini: dal punto di vista della “geopolitica” interna, due temi chiave e le due ali più polarizzate e più rissose della sua maggioranza. Il fatto che ciò possa accadere senza nemmeno l’ipotesi di qualche conseguenza politica testimonia non soltanto la forza del presidente del Consiglio ma anche il fatto che queste due ali non posso sommare e far convergere le ragioni del loro scontento. E nulla come questa evidenza certifica il fatto che quello in carica è davvero un governo di unità nazionale.
Più che per la tenuta del governo, dunque, questi sei mesi saranno fondamentali per capire come cambierà la geografia del sistema politico, dal punto di vista sia delle forze che lo animano sia delle regole che lo governano. Potranno infatti nascere o consolidarsi nuovi partiti, potranno definirsi alleanze, potranno stringersi patti sulla legge elettorale. E il baricentro di queste dinamiche evidentemente sarà la formazione di una maggioranza non per un nuovo esecutivo ma per l’elezione del Capo dello Stato.
E’ bene ricordare che sette anni fa, fu proprio la tornata presidenziale a determinare la crisi del renzismo che fino a quel momento sembrava intangibile. Aver dato vita – come fece l’allora premier – a una maggioranza quirinalizia diversa dalla maggioranza di governo e dalla maggioranza che sosteneva le riforme istituzionali fu l’elemento che in prospettiva fece impazzire il sistema. Stavolta, sette anni dopo, la scelta del Capo dello Stato potrebbe invece essere il fattore che al sistema dia una nuova stabilità dopo la prova di sforzo della pandemia.
Per comprendere come il sistema politico abbia bisogno di trovare un nuovo centro di gravità permanente, e come esso possa oggi essere rappresentato dalla maggioranza presidenziale più che dalla maggioranza di governo, basterà considerare come si vanno definendo in questa fase i clivage politici. La questione dei vaccini è a tal proposito un esempio paradigmatico. La linea di demarcazione in campo vaccinale non è tra coerenti e incoerenti: fra gli ostili al green pass ci sono forze che in altri momenti avevano assunto posizioni molto prossime al sostegno all’obbligo vaccinale, e sul decreto che introdusse il divieto di iscrizione dei bambini a scuola in assenza di un gran numero di vaccinazioni rese dunque obbligatorie, anche per malattie millenarie che non hanno mai causato alcun lockdown, non ricordo grandi affollamenti quando in Parlamento con altri “temerari” cercammo di renderlo un po’ meno oltranzista. Non si tratta nemmeno di uno scontro di carattere “teologico” tra “sì vax” e “no vax” (Salvini, ad esempio, ha simpatizzato con le manifestazioni di ieri ma si è vaccinato), e in fondo neanche di un confronto da concezioni diverse della libertà: per paradosso, a sostenere posizioni quasi anarchiche sono oggi tante persone che non hanno mai disdegnato un’accezione autorevole e quasi autoritaria dello Stato.
Alla fin fine, se si vuole individuare oggi una linea di frattura, la si rintraccia piuttosto fra quanti hanno una cultura pragmatica di governo e cercano un punto di caduta fra esigenze differenti, e quanti – su entrambi i fronti della diatriba vaccinale – privilegiano un approccio dottrinario astratto e di conseguenza tendenzialmente estremo. Ed è un fatto che chi si colloca nella prima categoria si trova dalla parte di Mario Draghi non per interesse diretto (ad esempio postazioni di governo da difendere) ma per oggettiva condivisione di strategie e obiettivi.
Quest’area, che potremmo definire del buon senso, non ha però nessuna possibilità di poter contare sulla futura nascita di un futuro “partito di Draghi”: l’attuale premier, con ogni evidenza, non è Giuseppe Conte e non è Mario Monti. Sicché la vera scommessa dei prossimi sei mesi è se essa si stabilizzerà, in quali forme e attraverso quali partiti, se diventerà un punto di gravità del sistema, e in caso affermativo se lo farà esercitando un ruolo in coalizioni diverse a seconda delle propensioni ideali delle anime che la compongono o trovando sinergie e alleanze.
Questa è la vera incognita del semestre bianco, la cui risposta conosceremo solo quando si arriverà all’elezione del Presidente della Repubblica. E sappiamo già che dalla risposta a questo quesito dipenderà la prospettiva di una stabilità del sistema che si proietti anche oltre le colonne d’Ercole della legislatura o la prognosi di nuove convulsioni con destinazione chissà dove.