Franceschini cerca di recuperare ma i sondaggi vedono nero

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Franceschini cerca di recuperare ma i sondaggi vedono nero

19 Maggio 2009

Europee e Amministrative, poi congresso e nodo-leadership. Nel Pd, a meno di tre settimane dalle elezioni, è difficile mascherare la preoccupazione. Franceschini ci prova tutte le volte che si trova davanti a un microfono (in che mondo vivete, ha chiesto ieri, davanti alle telecamere de l’Infedele,  agli interlocutori che lo mettevano davanti alla realtà: massacro sopra il Po, terremoto al Sud e nelle Isole) ma il risultato è tutt’altro che convincente. Un po’ anche perché i dati che circolano portano tutti il segno meno.

Di 63 province che andranno al voto (sono 49 quelle governate dal centrosinistra) solo 13 potrebbero essere riconfermate nella dotazione del Pd. Undici andrebbero  al centrodestra, 25 sarebbero a rischio. Il 6 e 7 giugno si vota anche in 30 comuni e la situazione, anche su questo fronte, non rasserena gli animi dalle parti di Largo del Nazzareno. Sui 24 ora governati dal centrosinistra infatti si prevedono cambi di rotta per nove comuni che guarda caso si trovano tutti al Nord, in Emilia Romagna, Toscana, Umbria e Marche. I capoluoghi: il centrodestra strapperà quasi certamente ai rivali Bergamo, Verbania, Biella e Caltanissetta. Potrebbero passare al Pdl anche Foggia, Bari, Avellino, Padova e Cremona.

Di più: c’è un sondaggio riservatissimo che starebbe terrorizzando i dirigenti del Pd. Secondo il quotidiano Il Foglio infatti, il Partito Democratico avrebbe il 23%, una cifra di gran lunga inferiore rispetto a quella prevista del 27%. Inferiore rispetto anche ai dati diffusi dal premier Berlusconi, che attribuisce al Pd una percentuale superiore al 26% . Il sito Affaritaliani.it stamattina ha invece pubblicato l’ultimo sondaggio segreto di Sinistra Democratica (forza che fa parte della formazione di Nichi Vendola), datato sabato 16 maggio, secondo cui il Popolo della Libertà balzerebbe al 42%, nettamente sopra il dato delle Politiche dell’anno scorso mentre il Pd sarebbe al 25,4%, un dato di otto punti più basso rispetto a quello di dodici mesi fa.

La faticosissima campagna elettorale del segretario si gioca tutta su un punto: le risposte, a suo dire, insufficienti del governo alla crisi oltre che sul disperato tentativo di convincere il suo popolo (soprattutto quello del Nord) che è il Pd a fare la vera opposizione a Berlusconi. Franceschini, impegnato in comizi pubblici, visite ai mercati rionali, apparizioni tv, cerca di infondere fiducia e allontanare lo spettro della sconfitta ma quella che si profila all’orizzonte è un’emorragia di voti. La conseguenza ovvia di un partito debole, inchiodato a logiche partitiche che continuano a scontrarsi con quel populismo che riaffiora ogni volta si parla di Berlusconi. Eppure, di scheletri nell’armadio il Pd ne ha parecchi.

“Nessun sindaco, presidente di provincia o governatore in carica potrà essere candidato alle europee”, si leggeva nel regolamento in cui si elencano i requisiti necessari per entrare a far parte delle liste del Pd per le europee. Qualche indagato però sì. Non ci scandalizziamo per questo, anzi: i signori in questione, già finiti su tutti i media, li aspettiamo al varco, pronti – qualora venissero eletti – a contarne le presenze in Parlamento Europeo e verificarne l’attività. Per il momento, semplicemente, raccontiamo di tre candidati a Strasburgo finiti nelle maglie della Giustizia. Il primo è Andrea Cozzolino. Occupa l’ottavo posto della lista per l’Italia meridionale (Campania, Puglia, Abruzzo, Basilicata, Molise, Calabria) e il suo nome finì davanti ai giudici per una presunta truffa sulla produzione di energia. Al centro dell’inchiesta la costruzione della centrale biomasse (Biopower) di Pignataro Maggiore, in provincia di Caserta. Le accuse andavano dall’associazione per delinquere finalizzata alla truffa, alla corruzione di pubblici ufficiali, alla rivelazione di segreti di ufficio e alla realizzazione di falsità in atti pubblici.

La lista in esame conta diciotto nomi e al quindicesimo si trova quello di Angelo Montemanaro, primario ospedaliero già assessore regionale alla Sanità, sotto inchiesta a Napoli per corruzione per  atto contrario ai doveri d’ufficio. Un posto sotto c’è l’assessore regionale Mario Pirillo. Il cui nome si ricollega nientemeno che all’operazione Why Not, quindi  a un certo Antonio Saladino, ex leader della Compagnia delle Opere in Calabria. In questo caso l’accusa dei magistrati catanzaresi ruotava attorno a un sistema stabile (nel quale, secondo le accuse, rientrava Pirillo) messo insieme trasversalmente dai politici regionali, “mantenuto e alimentato al fine di conseguire un clientelare consenso elettorale, assicuravano delittuosamente a strutture societarie di fatto governate da Saladino fondi pubblici per l’esecuzione di lavori prospettati come di pubblica utilita”. In cambio Saladino, “su segnalazione dei politici, assumeva o faceva assumere, sotto varie forme contrattuali, tutte comunque caratterizzate da precarietà, un rilevante numero di persone”.

Tre personaggi con un passato importante. Alla faccia delle veline.