Franceschini gioca la carta del populismo per non scomparire
12 Marzo 2009
Dario Franceschini, nell’ansia di apparire e di accreditarsi nei confronti dell’opinione pubblica e, viene spontaneo dire, soprattutto nei riguardi del suo partito, non perde occasione per intraprendere iniziative, che “fanno notizia” o per lanciare nuove proposte, a facile ricaduta mediatica. Malauguratamente l’ansia non è, di per sé, la miglior condizione per realizzare iniziative meditate o avanzare proposte tecnicamente fondate, anche là ove vengono toccate materie sempre delicate ma che sono divenute delicatissime, in un periodo di straordinaria crisi economica non solo italiana, ma di portata mondiale. Il tutto finisce così per affogare in un eccesso di salsa demagogica, le proposte divengono slogan e anche questioni meritevoli di serio approfondimento degradano a livello di discussione da bar dello sport.
E’ il caso dell’idea dell’assegno minimo di inoccupazione, tematica la cui portata non attiene esclusivamente alla sostenibilità finanziaria, ma riguarda precise scelte di politica economica e sociale e coinvolge direttamente la valutazione del ruolo e delle funzioni degli ammortizzatori sociali, come, con la serietà di argomenti che la materia merita , ha evidenziato il Ministro Sacconi.
Prendiamo l’ultima sparata del Segretario del Partito Democratico: un prelievo fiscale una tantum sui redditi più alti (individuti in 120.000 euro), il cui introito andrebbe messo a disposizione di comuni e associazioni caritatevoli. Detta così la proposta appare davvero impresentabile sotto il profilo tecnico e si presta, come ogni slogan a base populista, sia ad adesioni facilone (che non sono mancate) sia ad essere liquidata come impresentabile. Eppure la questione sollevata, il trovare nuove risorse di carattere straordinario per porre in essere validi interventi volti ad alleviare il disagio delle fasce sociali più deboli, è seria e va affrontata con estrema attenzione tecnica e con profonda tensione morale. Questo però impone di non perdere di vista il quadro complessivo dell’ordinamento tributario ed i suoi presupposti. A proposito di questi ultimi, forse è il caso di muovere dall’art.53 della Costituzione (cioè di quella carta costituzionale su cui, con plateale stramberia, ha voluto “giurare” Franceschini, assumendo il ruolo di segretario politico di un partito), che prevedendo il concorso di tutti i cittadini alla spesa pubblica (comma 1), fissa il principio di progressività a cui si deve informare il sistema tributario (comma 2). Il principio di progressività mal si concilia con prelievi una tantum, ma impone di porre in essere manovre attentamente calibrate.
Volendo cogliere, per scrupolo morale, la potenziale positività della proposta Franceschini, ci si può legittimamente domandare se per un limitato numero di anni non si possa por mano ad una rimodulazione delle aliquote irpef, ritoccando al rialzo l’aliquota maggiore, nell’ambito di una generale riconsiderazione di parte della “tabella”. In quest’ottica andrebbe attentamente salvaguardato il lavoro dipendente, l’unico inchiodato al pagamento delle imposte sino all’ultimo centesimo di euro. A proposito di prestatori d’opera subordinati, va detto per inciso che assumere 120.000 euro lordi, cioè il reddito di ampie fasce di lavoratori a maggior qualificazione, come soglia di ricchezza su cui incidere appare davvero un eccesso di demagogia di bassissimo profilo. A fronte di ipotetici incrementi di aliquote, va sapientemente utilizzato lo strumento delle detrazioni, con il quale salvaguardare i redditi medio bassi. Anche ad aliquote costanti, un incremento delle detrazioni – ove si riesca a rinvenire l’idonea copertura, ad esempio incrementando gli strumenti di accertamento – potrebbe alleviare la difficile condizione economica delle prime fasce di reddito fiscalmente rilevante.
A proposito di quanto precede, va ancora detto che, comunque, occorre attentamente valutare, in via preliminare, se il porre eventualmente in essere qualsivoglia intervento di, sia pur lieve incremento della pressione fiscale, non abbia di per sé un effetto negativo sul clima di fiducia del Paese. E’ appena il caso, infatti, di sottolineare come in questo momento, in cui vaghissimi e timidissimi segni di ripresa sembrano profilarsi all’orizzonte dell’azienda Italia, un clima improntato alla fiducia e ad un ragionato ottimismo rappresenta un carburante indispensabile, per avvicinare l’attesa inversione di tendenza del ciclo economico.