Francesco Cossiga, il “folle di Dio”
13 Novembre 2011
di Luca Negri
Non avevamo dubbi sulla grandezza umana, culturale e politica di Francesco Cossiga. Nel caso ne fosse rimasto qualcuno, l’ultimo libro uscito su di lui, o meglio con lui coautore, ce li ha tolti tutti. Cossiga mi ha detto (Marsilio editore) raccoglie confidenze, confessioni ed illuminazioni del Presidente emerito, lasciate poco prima della morte a Renato Farina. Conscio di essere vicino alla fine dalla sua avventura terrena, Cossiga si è aperto completamente, ha dato la sua versione definitiva, spesso condita dalla famigerata e affilatissima ironia, dei principali fatti storici italiani e rievocato l’infanzia, la formazione, gli amori, la carriera, i dolori fisici, mentali e di coscienza.
Già sentiamo una particolare sintonia con il defunto Presidente per via dei riferimenti letterari, dei nomi che pronuncia in merito alle sue letture: C. S. Lewis, (citato non per la saga fantasy di Narnia ma per il capolavoro centrato sul diavolo, Le lettere di Berlicche), poi Georges Bernanos, Charles Péguy, Graham Greene e il cardinale Newman. Un gradino sopra tutti, Manzoni e Pascal; al punto che ovunque andasse portava sempre con sé I promessi sposi e i Pensieri da mettere accanto al cuscino. Nomi, quest’ultimi, che sentiva vicini e maestri a causa delle forti venature gianseniste del suo cattolicesimo, della saldissima fede nella Provvidenza.
Il “cattolico liberale” Cossiga parla molto di Dio in questo libro, confessa una forte passione per Sant’Agostino e per la teologia in generale. Ne conversava con Ratzinger molto prima che diventasse Benedetto XVI; gli chiese perfino di cancellare la scomunica a Giansenio, motivando la richiesta. Un fortissimo senso del peccato e del contrappasso per le colpe umane emerge quando descrive i suo grandi mali. Li considera tutti doni di Dio per invitarlo all’umiltà prima della morte. Il potente uomo di Stato era ridotto maluccio negli ultimi tempi; non viaggiava più come in passato, anzi provava dolore ad ogni passo per problemi alla spina dorsale. Nel crepuscolo della Prima Repubblica gli italiani lo avevano scoperto come istrionico esternatore, e nel crepuscolo della sua vita dovette subire un’amputazione parziale della lingua malformata. Per non parlare del tumore al retto, come a suggerire l’aver dovuto digerire troppe cose nei ruoli istituzionali.
Ad esempio, la decisione di lasciare Moro in balia della feroce giustizia proletaria brigatista. In quel caso, Cossiga non nasconde il dolore, assume tutte le responsabilità, si dice ancora convinto di aver fatto la cosa migliore per il destino del Paese. Solo vorrebbe che la responsabilità fosse spartita con il Pci, granitico ancor più della Democrazia cristiana sulla via della fermezza. Per quanto riguarda le vicende che hanno funestato la nostra storia recente e alimentato innumerevoli teorie complottiste, il politico sardo riconferma tesi già note: la strage di Piazza Fontana maturò nei servizi segreti statunitensi, quella di Bologna fu causata dai palestinesi, mentre sui cieli di Ustica volava un missile francese. Falcone era “un magistrato democristiano” isolato ed attaccato proprio da chi ne ha fatto una bandiera dopo l’attentato. Più confusione rimaneva ancora su Gladio, o meglio Stay Behind, ma Cossiga chiarisce; non si trattava di servizi segreti deviati e feroci, ma di 600 ex partigiani cattolici, liberali e repubblicani pronti ad intervenire con azioni di sabotaggio e di salvaguardia di uomini chiave della Repubblica nel malaugurato caso di un’invasione sovietica.
Dei patrioti, forse come non se ne trovano più. A proposito, il Presidente emerito fino all’ultimo dice la sua sulla politica odierna. Le ultime interviste concesse a Farina risalgono all’estate del 2008, governo Berlusconi appena insediato, dopo la parentesi prodiana. Cossiga profetizza gli attacchi mediatici al Premier. “Si sta preparando il regime dei giudici, anzi peggio; dei pubblici ministeri”. Di Pietro, guarda caso, ha appena dato del “magnaccia” a Berluconi ed è alleato con la “sinistra del nulla, quella veltroniana”. “Il gruppo di Repubblica-Espresso è arrivato alla determinazione da soluzione finale”, dice Cossiga e indovina che usciranno ancora intercettazioni su storie di sesso. “In ballo c’è davvero lo stato di diritto, la democrazia”, aggiunge, e sprona il Cavaliere a combattere, “ma senza isterismi”. Definendosi “l’unico berlusconiano che si intende di politica” non risparmia giudizi sugli altri: Maroni “è stalinista”, Alfano “un caro ragazzo, ma un bambino tra i lupi”, D’Alema “uno serio”, Draghi “uno speculatore internazionale… vorrei essere presidente del Consiglio per 48 ore per cacciarlo, e ne fornirei motivazioni indiscutibili”.
Inoltre il “folle di Dio” Cossiga, o per usare altri soprannomi volontari, “Il gatto mammone”, “l’agente Crisantemo” (sta pur sempre parlando con “l’agente Betulla”…) vede nel futuro il primo governo dopo la cacciata “con ignominia” di Berlusconi. “Sarà capeggiato da Mario Monti o da Pierferdinando Casini (benvisto, a questo punto dalla Chiesa, e non si capisce perché), ci sarà la sinistra, l’Udc, la Lega e parecchi transfughi del Popolo della Libertà. Non io! Non io!”. Certo, ha sopravvalutato Casini e sottovalutato la Lega, non ha percepito l’imminente strappo di Fini (nemmeno nominato nel libro, e qualcosa vorrà dire…) anche se intuiva crepe nel centrodestra. Però ha quasi azzeccato tutto il resto. Quello che conta e che in quel governo non ci sarà lui. Ha ben altro da fare, lassù.