
“Fu grazie a Del Noce che i cattolici si aprirono alle libertà moderne”

22 Maggio 2011
di Luca Negri
Poiché la politica italiana sta attraversando una fase di sostanziale paralisi della proposta e pare si navighi a vista, ci pare necessario recuperare l’insegnamento del filosofo cattolico Augusto Del Noce (1910 – 1989). Un’ottima occasione ci viene offerta dal volume Augusto Del Noce. La legittimazione critica del moderno, pubblicato da Marietti 1820, in vendita dalla prossima settimana. È stato scritto da Massimo Borghesi, professore ordinario di Filosofia morale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Perugia, già autore, tra l’altro, di saggi su Hegel e Romano Guardini. L’opera racconta e analizza il percorso culturale di Del Noce negli anni ’40 e ’50 trovandone un “intento fondamentale”: “liberare i cattolici, usciti dalla dittatura e dalla guerra, dalle nostalgie reazionarie e di aprirli ad un rapporto positivo con le libertà moderne”. Abbiamo intervistato il professor Borghesi per comprendere meglio la figura di Del Noce e per tentare di leggere l’attualità politica attraverso gli stimoli offertici dal suo pensiero.
Professore, Noberto Bobbio scherzando ma forse non troppo, chiamava il suo amico-nemico Del Noce “il De Maistre italiano”. Era una definizione motivata? Del Noce aveva qualcosa in comune con il pensatore savoiardo? Era, insomma, un reazionario?
No, non era motivata. La definizione, infelice, di Bobbio obbediva all’intento di delegittimare il suo amico-avversario, l’intellettuale che più di ogni altro aveva contribuito a smontare il modello azionista della storia contemporanea. Del Noce conosceva, naturalmente l’opera di De Maistre, ne apprezzava la critica al modello e alla mentalità rivoluzionaria. Criticava, però, in De Maistre, così come nel pensiero reazionario in genere, l’impostazione “reattiva” incapace di distinguere, nel moderno, tra il momento razionalistico e quello liberale. Per Del Noce il nucleo positivo della modernità consisteva nell’idea di libertà. Il cattolicesimo, fuori da ogni integralismo, doveva incontrarsi con questo ideale.
Ultimamente alcuni intellettuali “neofuturisti” vicini a Gianfranco Fini e lo scrittore Premio Strega Antonio Pennacchi hanno rilanciato il “fasciocomunismo”. Che giudizio avrebbe dato Del Noce riguardo tale proposta? A sentir loro, si tratterebbe di uscire finalmente dal Novecento; ma fascismo e comunismo non esprimono proprio l’essenza del secolo scorso?
Distinguerei tra la prospettiva di Fini e quella di Pennacchi. Del Noce vedrebbe, probabilmente, nel postfascismo di Fini il tentativo di legittimarsi assecondando le dinamiche della secolarizzazione che conseguono al post-’89, al tramonto delle speranze rivoluzionarie. Nel “fasciocomunismo” di Pennacchi c’è invece l’incontro tra due realtà popolari sconfitte, un tentativo irreale di opporsi al processo di atomizzazione e di svuotamento della dimensione politica. In realtà noi siamo fuori dal ‘900, sia di quello totalitario imperante tra le due guerre, che di quello ideologico caratterizzante il secondo dopoguerra. In una prospettiva delnociana il ‘900, però, non è definitivamente trascorso. Continua ad agire nel presente attraverso la decomposizione dei suoi ideali. Il vuoto attuale, il nichilismo diffuso, è l’eredità della crisi delle ideologie postbelliche.
A sinistra, invece, il Partito Democratico tende a rivendicare la tradizione “cattocomunista” di Dossetti e Rodano. Quali erano i principali punti di dissenso fra Del Noce e questa proposta politica?
Il rapporto con Franco Rodano, oltre che con Felice Balbo, è, in realtà, un rapporto complesso. Nel mio volume mostro come Del Noce, dopo la partecipazione all’esperienza della sinistra cristiana, nel 1943-’44, riannoda, negli anni ’60, il suo rapporto con Rodano. In questo contesto prende forma la critica alla società opulenta e alla sua mentalità positivistica. Una società che combatte il comunismo in quanto fede religiosa in nome di un materialismo più integrale di quello marxista. Questa collaborazione si interrompe alla fine degli anni ’60. L’accusa che il Del Noce degli ultimi anni muove a Rodano è quella per cui la sua sintesi tra cattolicesimo e comunismo porta allo svuotamento di ambedue e alla resa alla società opulenta. Il progetto rodaniano portava, paradossalmente, al trionfo della destra tecnocratica.
Per quale motivo Del Noce ruppe con l’ambiente de “Il Mulino”?
Del Noce in realtà non rompe con “Il Mulino”, la rivista e l’editrice con cui collabora dal 1957 al 1974. Il rapporto con Nicola Matteucci, esponente di un liberalismo laico fautore di un dialogo con i cattolici, rimane costante fino alla fine. La rottura è con i cattolici divorzisti, al tempo del referendum, presenti nella redazione della rivista, in primis con Pietro Scoppola. La cosa singolare è che Del Noce prenderà poi le distanze da Gabrio Lombardi e dal comitato per il referendum, in nome di un doppio tipo di unione, per i laici e per i cattolici, perché l’indissolubilità del matrimonio aveva significato all’interno di una posizione religiosa e non poteva essere trattata come un valore autonomo civile.
Sono in corso i festeggiamenti per i centocinquant’anni d’unità nazionale. Quali limiti vedeva Del Noce nel processo unitario?
Del Noce era soprattutto preoccupato di due cose: che la DC come partito di governo rappresentasse la coscienza nazionale del Paese e che i cattolici, deposte le pregiudiziali antiliberali, si ritrovassero nei valori del liberalismo etico. Allo scopo, tra il 1961 e il 1963, viene immaginando un nuovo giobertismo, una revisione del Risorgimento in chiave cattolica. Un progetto presto abbandonato allorché, studiando Gentile, si accorge che il vero continuatore del pensiero è proprio Gentile, il filosofo del fascismo. Dal 1964 Antonio Rosmini, e non Gioberti, diviene il modello delnociano dell’incontro tra cattolicesimo, libertà, coscienza nazionale.
Del Noce fu eletto senatore, anche se indipendente, nelle file della Democrazia Cristiana; ma non fu mai tenero con il partito unico dei cattolici. Cosa gli rimproverava maggiormente?
Del Noce ha sempre avuto la segreta ambizione di essere l’ideologo della DC, una sorta di Gramsci del cattolicesimo politico, il filosofo che De Gasperi non ebbe. Da qui il suo amore-odio per la DC vista ora come il perno della vita democratica del Paese, ora come incapace di intendere il processo di secolarizzazione che stava dissolvendo il cattolicesimo in Italia. Va detto come nella critica Del Noce fosse perfettamente consapevole del fatto che il limite democristiano, il suo “guicciardinismo”, era strettamente correlato ai limiti della cultura cattolica la quale, nella mancata revisione della filosofia della storia dell’800, oscillava continuamente tra progressisti e reazionari. Era questo vuoto alle spalle che obbligava la DC a volare basso, a farsi partito pragmatico senza che i due termini, “Democrazia” e “cristiana”, potessero avere un senso compiuto.
Il centrodestra italiano, e più in generale il pensiero liberale, hanno la possibilità di imparare molto da Del Noce. Quali aspetti in particolare sarebbero più urgenti da rinverdire?
Direi che il Del Noce più attuale, in termini storico-politici, è quello che, già a partire dal 1963, intuisce che il nuovo avversario, per la prospettiva cristiana e liberale, non è più il marxismo ma la società opulenta post-marxista. Quella che poi è andata affermandosi con la globalizzazione degli anni ’80-’90, la resa ad un capitalismo senza regole, il primato della ragione strumentale, l’affermazione di una dissacrazione-mercificazione integrale. Comte, il padre del positivismo, prende il posto di Marx. Con quel che ne consegue: il mito dell’efficienza da un lato, un vuoto ideale senza precedenti, dall’altro. Un’analisi lucida che interpella sia il centro-destra che il mondo della sinistra, impotenti ambedue, in qualche modo, di fronte all’universo scaturito dal post’89. Sarebbero qui da rileggere, per la loro attualità, le pagine del 1970 dedicate a “Un nuovo discorso su destra e sinistra”. Ne esce fuori un Del Noce inedito, fuori dagli schemi con cui taluni hanno cercato di catalogarlo.