Fuga di cervelli (e informazioni) dall’Iran al Grande Satana
01 Maggio 2010
Dopo un appuntamento elettorale dai risultati tutt’altro che chiari e dopo la sanguinosa repressione dell’Onda Verde antiregime che la censura non è riuscita del tutto a nascondere agli occhi del mondo, sembra proprio che la macchina del regime khomeinista iraniano cominci a perdere qualche pezzo. Pezzi importanti. Si tratta di funzionari governativi, diplomatici e scienziati che, in un modo o in un altro, hanno avuto a che fare con il programma nucleare di Teheran e che a un certo punto, stanchi e delusi, hanno deciso di gettarsi fra le braccia del demonio occidentale per diventare fonti preziose d’informazioni riservate che il regime avrebbe preferito restassero segrete.
Notizie precise sulle dinamiche di defezione non se ne hanno, e sia l’amministrazione Obama che la Cia si sono ben guardati dal fornire conferme ufficiali, ma sono molto alte le probabilità che la “misteriosa” scomparsa del fisico nucleare iraniano Shahram Amiri, volatilizzatosi lo scorso anno durante un pellegrinaggio religioso in Arabia Saudita, rientri a pieno titolo nel fenomeno. Stando alla televisione americana ABC, la sparizione di Amiri sarebbe stata definita da funzionari dei servizi segreti statunitensi un intelligence coup mirato a sabotare il piano nucleare di Teheran e parte di un’operazione che la Cia aveva pianificato da molto tempo. Certo è che il ministro degli Esteri Manouchehr Mottaki non ha esitato a vedere lo zampino dello zio Sam nella vicenda e ha commentato: “Abbiamo ottenuto alcuni documenti che dimostrano il coinvolgimento degli Stati Uniti nella sparizione di Shahram Amiri”. Il quale sembra sia stato assai prodigo di preziose informazioni, fra l’altro, sull’impianto segreto per l’arricchimento dell’uranio di Qom, a un centinaio di chilometri a sud della capitale, di cui poi il regime è stato costretto ad ammettere l’esistenza nel settembre 2009, prima che fosse proprio la Cia o magari l’Agenzia atomica della Nazioni Unite, l’Aiea, a rivelare come Teheran avesse nuovamente violato il Trattato di Non Proliferazione Nucleare (Tnp) nascondendo l’ennesimo sito clandestino.
Un’altra defezione eccellente, e anche questa altrettanto fumosa nella forma, è stata la “sparizione”, nel 2007, del generale Ali Reza Asgari, ex viceministro della Difesa, comandante dei potenti Corpi delle Guardie Rivoluzionarie, anche lui in possesso di importanti informazioni sui progetti nucleari di Teheran e forse catturato dagli agenti del Mossad con la collaborazione dei servizi segreti tedeschi e britannici. Fonti governative americane avrebbero confermato la collaborazione di Asgari con i servizi d’intelligence occidentali che dall’ex viceministro avrebbero ricevuto informazioni su Hezbollah, le milizie sciite in Libano e i legami di queste con l’Iran.
Il numero delle persone che hanno scelto la defezione dal regime per collaborare con le spie del nemico occidentale è noto solo in parte, ma appare in decisa crescita negli ultimi tempi. Il Washington Post parla addirittura di una vera e propria “piena” di gente, tra diplomatici e militari, e cita fonti di governo americane ed europee secondo cui alla base di una tale emorragia di scienze e coscienze ci sarebbe l’“enorme scontento” e il morale “estremamente basso” di chi in un modo o nell’altro ha avuto a che fare con il contestato programma nucleare di Teheran. Ma anche di chi, come un alto diplomatico della missione iraniana a Oslo, ha raccontato delle pressioni ricevute per falsificare i risultati elettorali degli iraniani che avevano votato in ambasciata. Mohammed Reza Heydari, questo il nome, afferma di rappresentare le migliaia di iraniani giovani e istruiti che si sentono sempre più scoraggiati da come vanno le cose nel loro paese. “Personalmente avevo una buona situazione, sia in Iran che all’estero in qualità di diplomatico, ma la mia coscienza non mi avrebbe più permesso di lavorare per il regime”, ha raccontato Heydari in un’intervista. Nella quale, a proposito della violenta repressione delle proteste di piazza dopo le elezioni, ha ricordato di essere rimasto sconvolto dal fatto che il regime stesse reprimendo e uccidendo delle persone “solo perché chiedevano dove fossero andati a finire i loro voti”.
Di sicuro c’è che, soprattutto sulla questione nucleare iraniana, le nuove informazioni a disposizione sono molte e molto importanti. Tanto importanti che hanno finito di complicare il già poco agevole lavoro intorno al National Intelligence Estimate (NIE), il rapporto, da lungo tempo atteso, sulle attività nucleari di Teheran che dovrebbe presentare le valutazioni congiunte di oltre una decina di agenzie d’intelligence statunitensi. L’uscita del rapporto era prevista per lo scorso autunno ma pare che sia già stata rimandata almeno due volte appunto per accorparvi nuove informazioni, alcune delle quali provenienti da fonti ancora sottoposte a verifica. Molto probabilmente, le conclusioni a cui giungerà il prossimo NIE saranno diverse da quelle del 2007, quando la comunità d’intelligence americana si disse convinta che il regime khomeinista avesse interrotto il suo programma nucleare militare nel 2003, creando qualche problemino di public diplomacy all’allora presidente George W. Bush. Con il cambio d’inquilino alla Casa Bianca, non è da escludere che al contrario il nuovo NIE porterà acqua al mulino di Barack Obama.
Ad ogni modo, è ancora il Washington Post a sottolineare come le vicende di Shahram Amiri e di altri come lui abbia dato nuovo impulso alla “fuga di cervelli” nell’ambito del cosiddetto programma “brain drain” messo su dalla Cia negli ultimi anni. Il “brain drain” è parte di un progetto più ampio mirato a rallentare i progressi nucleari di Teheran attraverso il sabotaggio delle attrezzature che entrano nel paese e il tentativo di condurre alla defezione alcune figure chiave del mondo scientifico iraniano.
Il governo iraniano – dicono gli osservatori – è rimasto estremamente innervosito dalla fuga di cervelli e informazioni e non è da escludere che tra i frutti amari dell’ira funesta di Teheran potrebbe esserci anche la morte del fisico nucleare Masoud Ali Mohammadi, ucciso il 12 gennaio da una bomba radiocomandata piazzata su una motocicletta vicino casa sua. Il regime ha prima compianto lo scienziato definendolo, per bocca della tv di Stato, uno “strenuo sostenitore” della rivoluzione islamica per attribuire subito dopo la responsabilità dell’attentato ad “agenti sionisti e americani”. Il punto è che lo scienziato iraniano, dopo aver lavorato per anni con i Guardiani della Rivoluzione, aveva una conoscenza molto precisa delle loro attività, comprese quelle legate al nucleare. E sono in molti a pensare che in realtà la parola fine alla vita di Mohammadi abbia deciso di scriverla egli stesso avvicinandosi al movimento di opposizione e partecipando a manifestazioni di protesta contro il governo.