Gaza, l’Egitto strappa un mezzo accordo con Hamas ma Israele avanza

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Gaza, l’Egitto strappa un mezzo accordo con Hamas ma Israele avanza

15 Gennaio 2009

Omar Suleiman pare avviato al successo più clamoroso della sua non breve carriera: il capo dei servizi segreti egiziani infatti sembra essere riuscito a fare accettare ad Hamas l’accordo per il cessate il fuoco a Gaza. Ogni condizionale è d’obbligo, anche perché Hamas avrebbe inserito alcune clausole nella proposta egiziana e comunque è indispensabile conoscere la risposta israeliana prima di tirare un sospiro di sollievo. Quel che però si può da subito notare è il paradossale ruolo svolto in questa vicenda e in tutte le vicende di Gaza da dieci anni in qua, proprio da Omar Sulaiman.

Il mediatore di oggi – e di sempre – il paciere di Gaza, è infatti il principale responsabile politico – quantomeno – proprio del disastro attuale. Basta guardare una qualsiasi cartina geografica, basta contare con un righello quanto sia lungo il confine di Rafah tra Egitto e Gaza, basta sapere quanti sono i militari egiziani che lo presidiano – diecimila, dicono fonti attendibili – e subito si scopre che Omar Suleiman ha fatto sempre un gioco quantomeno strano, se non sporco. Quel confine, infatti, è minuscolo, un pugno di chilometri, sorvegliarlo dalla parte egiziana è la cosa più facile del mondo, bloccare lo sbocco su territorio egiziano di quei tunnel, impedire che vi entrino armi, droga, denaro, contrabbando, addirittura pecore e armenti, è affare da bambini.

Pure, Omar Suleiman, massima autorità politico militare egiziana sul quadrante (di lui si dice addirittura che sia il delfino di Mubarak, in un breve interregno che prepari la successione al figlio del raìs, Gamal), da anni e anni non riesce a bloccare quei tunnel, non riesce a impedire che Hamas vi faccia passare qualche cosa come 20.000 razzi –ripetiamo: ventimila razzi – mentre riesce a garantire che il confine a cielo aperto sia comunque chiuso, impenetrabile. Tanto impenetrabile che non vi passano neanche quegli aiuti umanitari – che pure la solidarietà araba imporrebbe – indispensabili a sollevare le sorti della popolazione palestinese. Tutto l’Occidente benpensante si indigna contro il blocco israeliano dei valichi, ma nessuno si chiede come mai questo non venga aggirato – con banale facilità – facendoli entrare nella Striscia dall’Egitto.

A questo quadro melmoso, vanno aggiunti i clamorosi fallimenti politici delle precedenti mediazioni di Omar Suleiman. Dopo la morte di Arafat, fu lui a garantire ad Abu Mazen la presa di controllo di Gaza, grazie all’appoggio dato al luogotenente di Abu Mazen – e di lui stesso – quel Mohammed Dahalan che avrebbe dovuto essere il responsabile della sicurezza a Gaza, superamato e superconsigliato dal Cairo e che invece nell’estate del 2007 fu spazzato via nello spazio di un mattino dalle squadracce di Hamas, mentre le sue milizie palestinesi  venivano letteralmente massacrate. Tutto questo, dopo che lo storico accordo tra Abu Mazen e Hamas del febbraio del 2007, siglato a Ryad, il cui regista fu – di nuovo – Omar Suleiman, che doveva portare ad un governo di unità nazionale, crollò su se stesso come un castello di carte marce.

Insomma, se si guarda a quanto ha fatto Omar Suleiman negli ultimi anni a Gaza si vede un enorme campo cimiteriale: fallimenti, approssimazione, inefficienza, assenteismo, incapacità, stragi. E’ dunque interessante iniziare a porsi il problema del perché di questa inquietante biografia politica. La risposta più facile – sicuramente vera, in parte – porta a concludere che Omar Suleiman abbia accumulato enormi fortune personali nel suo ruolo di “tutore di Gaza”, che qualcuno a lui vicino abbia lucrato mazzette a tonnellate nel lasciare che i tunnel fossero aperti e gestiti, che qualcuno che lui conosce bene sia stato il regista e il fornitore di armi e finanziamenti sottobanco ad Hamas.

Ma tutto questo non basta, quel che più è grave e che un bilancio così disastroso della gestione egiziana del dossier Gaza non può che essere ascritto a una strategia politica –sicuramente condivisa con Hosni Mubarak – ondivaga, imprecisa, tesa solo a togliere di mezzo i problemi di corto respiro, a impedire il contagio di Hamas verso l’Egitto, dando uno sfogatoio all’estremismo politico egiziano verso Gaza. Un quadro agghiacciante, che è bene tenere presente da oggi in poi. Se non altro, per moderare le speranze che un qualsiasi accordo di cessate il fuoco abbia una qualche possibilità di successo.