
Genuflettendoci alla Germania non risolveremo i nostri problemi

07 Agosto 2012
A volte i paradossi sono più utili degli argomenti di senso comune per comprendere la realtà circostante. Vengono infatti spesso usati nella scienza e in filosofia, poiché nel paradosso il ragionamento può esprimersi con una certa libertà infischiandosene di limiti, regole e paletti. Aiutano, inoltre, a trascurare il vero corso degli avvenimenti proiettando la mente in una dimensione che è tutta sua, libera da costrizioni esterne.
Provo allora a discorrere in termini paradossali dell’attuale stato dell’Unione Europea. Supponiamo che in tempi brevi i Paesi mediterranei e poco virtuosi dell’Ue riconoscano finalmente – e in modo esplicito – la superiorità non solo economica, ma anche politica, culturale e istituzionale della Germania. Una grande bandiera bianca innalzata da Mario Monti e Mariano Rajoy in primo luogo, e poi da greci, ciprioti, portoghesi etc. Una resa completa e senza condizioni, di quelle che ai tedeschi sono sempre piaciute tanto nel corso della loro storia.
In questa rinnovata Canossa le nazioni “sudiste” si genuflettono di fronte al colosso teutonico e ammettono una volta per tutte che, da sole, contano niente. Pazienza se la Francia – che è un ibrido Nord-Sud – storca il naso colpita nel suo celebre senso di “grandeur”. E pazienza se gli inglesi se ne stiano alla finestra con un occhio rivolto al vecchio continente e l’altro agli Usa. In fondo è ciò che hanno sempre fatto e tuttora continuano a fare.
Non solo bandiera bianca, ma pure carta bianca a politici, banchieri e magistrati di Berlino. A loro, in toto, il compito di dire cosa dobbiamo fare per rimetterci in riga. La Germania, che già ora è circondata da un anello di Stati satellite in piena sintonia con le sue direttive, diventa la padrona dell’Unione. Il governo comunitario resta nominalmente a Bruxelles, mentre Roma, Madrid e il resto conservano – sempre nominalmente – il ruolo di capitali.
Sono tuttavia capitali da operetta, giacché le decisioni vere si prendono a Berlino. Angela Merkel, meno “falco” di quanto si pensasse, è finalmente soddisfatta e non più costretta a defatiganti trattative notturne con governanti stranieri che osano minacciare veti pur essendo indebitati fino al collo. Ancora più felice Jens Weidmann, presidente della Bundesbank, che è il falco vero (e pure giovane: classe 1968). Lui non si è fatto scrupolo di affermare che Mario Draghi e i suoi colleghi presidenti delle altre banche nazionali non lo preoccupano affatto. Se resta isolato non importa, dal momento che a contare sul serio è, per l’appunto, la sola Bundesbank.
Le regole tedesche vengono applicate con rigore ed efficienza nella larga fetta d’Europa commissariata, il che induce la Germania a restituire un po’ di fiato all’Unione agonizzante. E finalmente anche i “mercati”, che secondo il premier italiano “non capiscono”, cominciano a comprendere. Il famoso spread assume un aspetto meno minaccioso, le borse del Sud riacquistano la speranza ormai quasi perduta, e si torna a parlare della Ue come soggetto politico-economico che ha un futuro.
La bandiera azzurro-stellata resta sui pennoni degli edifici, e i vari vessilli nazionali pure. Quella che sul serio garrisce al vento è però la bandiera tedesca, e il vero simbolo unificante è l’aquila che campeggia nel Deutscher Bundestag, solo un po’ meno nera dell’omologa già presente nel vecchio Reichstag sul quale nell’aprile del 1945 i sovietici issarono la bandiera rossa.
Si è molto parlato, in questi ultimi tempi, di Quarto Reich. Il Primo, non proprio tedesco sino in fondo, vien fatto coincidere con il Sacro Romano Impero. Il Secondo, più concreto, è l’Impero germanico dal 1871 al 1918 terminato con la sconfitta tedesca nel primo conflitto mondiale. Il Terzo, che doveva avere durata millenaria, è quello hitleriano, che invece finì sepolto dalle macerie appena 13 anni dopo la sua fondazione.
E’ chiaro che l’ipotetico Quarto Reich è – per ora – un mero parto della fantasia. Se davvero sorgesse, tuttavia, avrebbe caratteristiche assai insidiose. Dietro una facciata democratica ritroveremmo – anche per colpa nostra, lo si ammetta – il sogno tedesco di dominio europeo. E’ un sogno mai tramontato, pur dopo due tremende sconfitte che hanno messo in pericolo l’esistenza stessa di un’entità nazionale germanica.
Ma ai tedeschi non sono mai mancati capacità di resistenza, orgoglio, tenacia e, soprattutto, efficienza. Basti pensare ai tempi rapidissimi con cui venne realizzata la riunificazione, nei primi anni ’90 del secolo scorso, di due Stati completamente diversi sotto ogni aspetto tranne la lingua. Allora l’ammirazione degli altri fu grande, anche se molti manifestarono dubbi circa l’opportunità di avere di nuovo una grande Germania al centro del continente.
Uscendo da paradossi ed esperimenti mentali, c’è da chiedersi cosa ci attenda nel prossimo futuro. Ha un bel dire, il premier Monti, che conta l’economia reale e non quella fittizia e cartacea. O, ancor meglio, speculativa, anche se menzionare la grande speculazione internazionale irrita non poco alcuni esponenti del liberalismo più ortodosso. Il vero problema è che i mercati, questa entità cui non riesce a dare una precisa connotazione, percepiscono una Germania fortissima e un’Europa mediterranea terribilmente debole. Colpa nostra, certo. Siamo però sicuri che le colpe stiano tutte da una parte sola?