Geopandemia: se il virus ci costringe a fare i conti col nostro caos

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Geopandemia: se il virus ci costringe a fare i conti col nostro caos

Geopandemia: se il virus ci costringe a fare i conti col nostro caos

31 Ottobre 2020

«La globalizzazione non è un pranzo di gala, ma una serrata competizione per il talento».
Letta così, senza prima aver contestualizzato la frase, si rischia di non comprenderne la reale e giusta portata.
In effetti, nel contesto geopandemico attuale (ai tempi del Covid), i Paesi più preparati dal punto di vista scientifico hanno potuto prendere di petto il tutto meglio: politicamente, sanitariamente, economicamente, giuridicamente e tecnologicamente.
La chiave di volta, quindi, da un punto di vista geopolitico è, di tutta evidenza, tendere quanto più all’autosufficienza partendo dal misurare quanto vale il bagaglio complessivo di conoscenze disponibili per singolo Paese.
Per puntare a ciò, però, occorre considerare che alcuni Paesi (tra i più avanzati) hanno un innato senso di reverenza per lo studio e per la ricerca.
Una sorta di mix tra dedizione e libertà.
Dati alla mano, nel libro Geopandemia di Salvatore Santangelo, tutto ciò viene messo in luce in maniera solida e puntuale: soprattutto i riferimenti a fatti storici (che ciclicamente, pur sotto altre vesti, si ripresentano al cospetto della società vivente) sono la premessa per ragionare sull’attualità.
La cultura come punto centrale per costruire una risposta granitica alla crisi mondiale non è un richiamo banale; anzi si pone in maniera sacrale e imprescindibile rispetto ad un mondo che si sta pian piano polarizzando, su piani politico-educativi (e non solo), proprio per effetto di una globalizzazione non calmierata da tempi e modi di sviluppo omogenei.
Il senso sociale comune, d’altronde, non ne risulta permeato affatto, ma soggiogato: dinanzi alla paura della morte ci si divide maggiormente.
E quando la paura sovrasta la fiducia si rischia l’implosione sistemica previamente prendendo come punto di riferimento le regole consociative.
Ci sono, tuttavia, i coraggiosi che, al di là delle regole, mantengono accese le speranze: un po’ come ciò che fa un libro.
Un libro è sempre coraggioso.
Nelle parole di Santangelo si coglie analiticamente come esso (il coraggio appunto) fa parte di coloro che nelle virtù e tramite queste si pongono nel vivere sociale non solo per sé stessi, ma per gli altri.
Un esempio su tutti: il sacrificio di Seneca. Rappresentazione, quest’ultima, di quel coraggio per il bene comune che in altri termini si traduce, anche per i giorni nostri, nell’onestà e nella franchezza dinanzi al pericolo della morte.
La narrazione del passato serve a capire il futuro senz’altro.
La domanda principale, a questo punto, è quale potrebbe essere il mondo che verrà?
Per evitare il più possibile contrapposizioni sterili occorre, anzitutto, inaugurare una nuova stagione che, tuttavia, passa inevitabilmente dal superamento della fase storica attuale del Covid.
Chi avrà il vaccino in mano per primo, sicuramente, avrà anche chance maggiori di dettare l’agenda politica degli altri Stati; non si trascuri sul punto, però, l’Eschilo pensiero e cioè che  «la tecnica è di gran lunga più debole della necessità».Ciò stando a significare che l’investimento tecnologico è sì funzionale all’andamento economico, ma non funzionale a calmierare o a veicolare le necessità primarie dell’umanità: prima fra tutte evitare le guerre civili sistemiche.
Su questo sfondo l’analisi di Santangelo pone luce su una strada impervia il cui percorso si presta, utilmente, all’esercizio sofisticato di “decifrare il caos” dei giorni nostri.
Il conflitto del presente rimane ancorato sulla scelta del modello di società: chiusa o aperta.
Questo il punto di fondo.
Inevitabilmente la complessità delle questioni della geopolitica resta funzionale per ottimizzare la ricerca (anche andando a ritroso nel tempo) rispetto a quale sia la struttura politico-sistemica, delle maggiori potenze mondiali, che meglio risponde alle sfide globali.
Il mistero storico della Germania in perenne e quasi ossessiva mira puntata alla stabilità politico-economica; lo sviluppo della Cina basato sul patriottismo dell’eccellenza e sulla lotta sfrenata alla corruzione (una sorta di mix evolutivo di Marxisimo, Leninismo, Maoismo e Confucianesimo); il ruolo di Putin nel sottile equilibrio tra mondo occidentale e orientale; la presenza di Israele nella globalizzazione senza mettere in discussione l’identità propria; l’indebitamento costante degli Usa verso il Made in China (riferimento implicito ai famosi subprime) per mantenere alti i consumi interni; la lenta morte delle classi medie in Italia e Francia.
Questi i temi su cui l’argomentazione e la narrazione dei tempi che corrono fanno i conti nel saggio Geopandemia (Castelvecchi Editore); saggio che pone l’attenzione concretamente su ciò che ci aspetta non tanto in emergenza, ma quando tutto sarà finito.
Come trasformare l’industria in un’ottica di sostenibilità e utilità?
Cosa produrre e per chi produrre?
Con quale leadership politiche affrontare il cambiamento?
E prima ancora, con quale idea di società essere nella globalizzazione senza rinunciare alla propria identità?
Questioni che, tutte insieme, hanno un senso direzionale univoco: rinnovarsi nel patriottismo con due direttrici globali irrinunciabili come la solidarietà tra i popoli e la mutualizzazione dei rischi economici.
“Insieme” non è un’utopia se pensiamo che, dopo la Seconda Guerra Mondiale, si sono costituite tante entità in tal senso come l’Onu, l’Unione Europea, ecc. le quali, tuttavia, hanno posto al centro la solidarietà senza considerare essenziale e complementare il secondo elemento appena innanzi citato.
Il Covid lo sta dimostrando mettendo a nudo tale carenza.
Un primo passo, se non altro a livello europeo, si è fatto con il piano Sure anche se ibridamente e con molti passaggi più di meccanica istituzionale che di politica istituzionale.
Dal caos si dovrà prima o poi uscire sperando che l’effetto farfalla, teorizzato da Lorenz negli anni sessanta del secolo scorso, non si presti alla demolizione dello spirito umanitario nato dalle macerie post belliche.
La nota positiva è che, a differenza del passato, l’umanità del presente gode di una rete di connessioni mai registrate prima nella storia.
Le reti sono una delle componenti necessarie per non perdere il contatto con la libertà: reti, quest’ultime, che vanno alimentate di sapere certo (Corea del Sud docet).
Su questo fronte l’Italia arranca, ma può farcela a recuperare la strada perduta qualora riuscisse a comprendere, prima che arrivi il domani, che occorre puntare sulle eccellenze: formazione, ricerca, politica energetica.
Il Covid, in buona sostanza, ci permette di fare i conti con il nostro caos: riconsiderare il modello di società venutosi a cristallizzare soprattutto in questi ultimi anni.
Riscoprire il valore del talento, come una volta, per ridare al nostro Paese la speranza di una nuova giustizia, una nuova coesione sociale, un nuovo ruolo di politica estera.
Tre elementi di riconversione imprescindibili per la nuova linfa costituente dell’Italia.
Come diceva Primo Levi, «Il futuro ha un cuore antico» e Santangelo, con Geopandemia, ci serve su un piatto d’argento l’opportunità di riflettere, appassionatamente, su come riaccendere la miccia dell’orgoglio di appartenere a una grande nazione.
Un Paese che recuperi il valore dell’autosufficienza quale precondizione per garantire livelli crescenti di solidarietà nel mondo che verrà.