Germania, cambia il quadro politico in vista delle elezioni federali

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Germania, cambia il quadro politico in vista delle elezioni federali

Germania, cambia il quadro politico in vista delle elezioni federali

24 Gennaio 2009

La recente consultazione tenutasi nel Land dell’Assia offre lo spunto per una breve analisi dell’evoluzione del sistema politico tedesco, alla luce di un anno costellato da importanti appuntamenti elettorali. Tra questi l’ultimo riguarda il rinnovo del Parlamento federale, fissato per il 27 settembre prossimo.

Benché sia alquanto improprio proiettare i risultati raccolti in un Land, pur importante e strategico come quello di Francoforte, direttamente sulla piattaforma nazionale, è altrettanto vero che le percentuali ottenute dai singoli partiti in Assia possono aiutarci ad individuare alcune tendenze in atto sullo scacchiere politico tedesco. Tanto più che fu proprio l’Assia la regione che nel 1983 fece da battistrada al primo esecutivo federale di marca rosso-verde.

Innanzitutto va premesso che la tornata elettorale di domenica scorsa è l’esito di un lungo e grottesco calvario istituzionale andato in scena per tutto il 2008 e che ha avuto come epicentro Wiesbaden, capitale del Land. Già nel gennaio passato, infatti, i cittadini della regione erano stati chiamati alle urne per esprimersi sull’operato del governatore democristiano Roland Koch, in sella dal 1999. La consultazione si era tuttavia risolta in un sostanziale pareggio, tale per cui nessuna delle due tradizionali coalizioni (democristiani e liberali da un lato e socialdemocratici e verdi dall’altro) fu in grado di esprimere una maggioranza assoluta. Questo anche e soprattutto in ragione del gran balzo in avanti di Die Linke, formazione di estrema sinistra che nel 2005 ha riunito l’antica PDS con gli esuli della WASG, usciti dal partito socialdemocratico in dissenso con la linea New Labour inaugurata da Gerhard Schröder.

Lo stallo, che innescò un vorticoso valzer di negoziati tra segreterie di partito, si concluse in un nulla di fatto, danneggiando però in particolar modo l’SPD, scesa a patti con i post-comunisti, dopo aver categoricamente escluso questa eventualità per tutto il corso della campagna elettorale. Di qui, dunque, il ritorno alle urne.

La vittoria della coalizione giallo-nera (liberali e democristiani) può essere letta secondo diverse chiavi interpretative. Innanzitutto, per rimanere ai fatti, la CDU si è confermata primo partito con il 37,2% dei consensi, staccando l’SPD di circa 13 punti percentuali. Questi ultimi, corrosi dalla mai sopita rivalità interna tra la corrente massimalista e quella riformista, hanno dovuto fare i conti con il già citato Wortbruch della dirigenza locale, atteggiatasi in maniera assai poco coerente nei confronti dell’elettorato. Di qui il rovinoso crollo. Del quale, comunque, la CDU non è stata affatto in grado di approfittare, perdendo anch’essa in termini assoluti ben 40.000 voti rispetto all’anno scorso. Segno tangibile che l’ascesa del falco conservatore Koch sembra ormai prossima al capolinea.

Il magro bottino dei due principali partiti è peraltro un preoccupante campanello d’allarme per la Große Koalition, il cui percorso accidentato è segnato da mediocri compromessi e gravi incertezze. Eppure, la disaffezione dell’elettorato per SPD e CDU non è neanche notizia di ieri. La costante erosione di consenso a favore delle formazioni politiche minori, percepitasi già in occasione delle elezioni bavaresi di fine settembre, va spiegata con l’ormai assodata incapacità dei due grandi partiti popolari (Volksparteien) di polarizzare i consensi, di integrare al proprio interno una base sociale ampia e differenziata. Tale scollamento dell’elettorato dai partiti catch-all, come li definì Otto Kirchheimer, è il portato più generale del diffondersi di un accentuato pluralismo dei valori e delle culture, elemento sul quale poggia ormai anche la Vecchia Europa del nuovo secolo.

In Assia, del disastro socialdemocratico e dello sfilacciamento democristiano, hanno tratto giovamento tanto i liberali (16,2%) quanto i verdi (13,8%). Il massiccio sostegno dato all’FDP dal ceto borghese, specie da elettori della CDU, ma anche dai delusi dell’SPD, corrisponde ad una prassi consolidata nella storia della Repubblica federale. Si tratta infatti di elettori mobili, per i quali rafforzare i liberali significa sostanzialmente impedire il raggiungimento della maggioranza assoluta da parte dei socialdemocratici e dei verdi. Ed effettivamente, il dato che sembra emergere con maggiore nettezza dalla consultazione di domenica scorsa è che la sterzata a sinistra, preconizzata da alcuni, non si è affatto verificata. Die Linke è riuscita sì a confermarsi al parlamento di Wiesbaden, superando la fatidica soglia del 5%, ma in termini assoluti i suffragi accordatele dagli elettori sono sostanzialmente rimasti invariati. Il travaso dei voti verso i Verdi, forza ecologista pragmatica e ormai emancipatasi dal movimentismo, non è che la cartina di tornasole del fiasco dell’estrema sinistra. Con essa, il presidente dell’SPD Franz Müntefering, è così tornato ad escludere qualsiasi tipo di accordo elettorale.

Il rimescolamento è stato peraltro viziato da un impressionante tasso di astensionismo (solo il 61% ha votato, contro il 64 dello scorso anno), ulteriore dimostrazione del crescente disamore per la politica che sempre più tedeschi paiono provare. L’aumento degli scandali, l’eccessiva verticizzazione all’interno dei partiti, l’incapacità di rispondere alle nuove sfide poste dalla crisi dello Stato sociale e dalla globalizzazione sembrano esserne le principali cause. Il quadro verso cui andiamo incontro è dunque fatto di un frastagliamento ancora maggiore dell’orizzonte politico. Il che renderà più difficile la formazione di maggioranze e paradossalmente comporterà una delega ancora maggiore alle segreterie di partito.

Il tralignamento di una struttura politica e partitica che, malgrado contrasti e attriti, ha garantito dal 1949 più di mezzo secolo di stabilità, è dunque alle porte. Salvo inopinati colpi di scena, all’indomani delle elezioni federali di settembre ci troveremo dinanzi ad un parlamento più che mai composito, nel quale difficilmente le coalizioni tradizionali riusciranno ad esprimere una maggioranza assoluta. Il dramma politico vissuto in Assia potrebbe allora riproporsi, anche se con sfumature diverse. E a quel punto si tornerà a discutere di improbabili e variopinte vie d’uscita: dalla Jamaika Koalition (verdi, liberali e democristiani) alla coalizione semaforo (liberali, verdi e socialdemocratici) passando per la grande coalizione, un escamotage quest’ultimo che solletica tuttora le fantasie di SPD e CDU, pronte a mettere da parte gli screzi e a prenotarsi altri quattro anni di permanenza nella stanza dei bottoni.