Germania, quando il gioco si fa duro le imbroglione smettono di giocare
20 Novembre 2017
Germania, quando il gioco si fa duro, le imbroglione smettono di giocare. “’The four discussion partners have no common vision for modernisation of the country or common basis of trust’ the FDP leader, Christian Lindner, announced after the four parties involved missed several self-prescribed deadlines to resolve differences on migration and energy policy. ‘It is better not to govern than to govern badly’”. Philipp Oltermann su The Guardian del 20 novembre riferisce le parole del leader dei liberali tedeschi Lindner “nella trattativa tra i quattro partiti (Fdp, Gruenen, Cdu e Csu) non abbiamo trovate sufficienti basi comuni, è meglio non formare un governo che governare malamente”.
Dopo una serie di penultimatum Angela Merkel ha visto fallire il suo tentativo di formare una coalizione con alleati (verdi e liberali) che su punti decisivi (tasse, immigrazione e ambiente) hanno posizioni opposte. Potrebbe essere la fine della carriera politica della Kanzlerin, alla guida della Germania dal 2005, ma che ha imposto un suo più preciso indirizzo dopo il 2008 sull’onda (anche se ognuno imbrogliava per conto suo) di Barack Obama. E’ la stagione di un certo smarrimento sia americano sia europeo dopo la grave crisi finanziaria esplosa con il fallimento della Lehman Brothers. Di fatto le mosse di fondo sono state affidate a Janet Yellen e Mario Draghi (che hanno fatto bene il loro lavoro, però decisivo ma da solo non risolutivo) mentre i leader dei due stati fondamentali per l’alleanza atlantica, Germania e Stati Uniti, si sono dedicati più a una predicazione retorica che a scelte che dessero un vero indirizzo alle loro nazioni e all’insieme delle democrazie occidentali.
Sul New York Times del 18 novembre Brad Plummer spiega il metodo da imbrogliona della Merkel: “After declaring that ‘climate change is an issue determining our destiny as mankind’ Ms. Merkel acknowledged that Germany was likely to miss the goals it had set itself for cutting greenhouse gas emissions by 2020 because of iits continued reliance on coal power”. Dopo aver dichiarato che la sfida sui cambiamenti climatici riguarda i destini dell’umanità, la Kanzlerin ha spiegato come la Germania non ce la faccia a raggiungere gli obiettivi di taglio delle emissioni gassose che si era data per il 2020 perché non riesce a liberarsi dalla sua dipendenza dal carbone.
E così è stato su tutto, buoni sentimenti astrattamente dichiarati e pasticci concretamente praticati: da Silvio Berlusconi (prima affossato ora redento) alla scelta del mediocre Jean-Claude Juncker alienandosi David Cameron e preparando la via per la Brexit, dai proclami sull’immigrazione ai pasticci con i turchi, dal via libera ai francesi in Libia ai rapporti strettissimi con cinesi e iraniani, dall’esplosione del caso Ucraina e delle sanzioni ai russi a Gerhard Schroeder presidente della Rosneft, dall’offesa ai polacchi nominando Donald Tusk presidente del Consiglio di Europa ai traffici prima pro Catalogna (quando si trattava di indebolire la propensione filoamericana dei popolari spagnoli) poi segnati dall’indifferenza per il dramma iberico.
Magari la Merkel e Obama sono stati una necessità della storia per passare una fase di sbandamento e alcune delle loro posizioni sono state perfino utili per la transizione. Ora però la stagione degli imbrogli è arrivata a un termine. A quanto pare anche in Germania. Se se ne prende atto a occhi aperti, forse sarà possibile evitare tutti quegli sbandamenti, spesso più comportamentali che nei contenuti, che è difficile non registrare anche nella pur, al fondo, realistica presidenza Trump.
Ma diamoli questi Sudeti libanesi all’Iran. Non moriremo mica per Beirut. “Shia Iran’s expansionary agenda, and use of proxies including Lebanon’s Hizbollah to pursue it, is highly destabilising. The solution, however, is not for Saudi Arabia to act more like Iran”. Un editoriale della direzione del Financial Times del 13 ottobre, spiega come l’Iran abbia in corso una complessa azione destabilizzatrice del Medio Oriente, ma che l’Arabia Saudita non dovrebbe reagire. Almeno troppo. In Gran Bretagna l’opinione pubblica pendola da sempre tra la tendenza “Chamberlain” (appeasement, wishfull thinking, interessi immediati al primo posto) e la tendenza “Churchill” (visione strategica, determinazione, principi). Il Financial Times nell’occasione batte un colpo per la tendenza Chamberlain.
Tra politica e inconsistenza. “Il primo vero scoglio della trattativa è oggi, l’incontro di Piero Fassino con Giuliano Pisapia” scrive Goffredo de Marchis sulla Repubblica del 18 novembre. L’incontro tra Fassino e Pisapia (peraltro parrebbe poi che abbiano “avviato un percorso politico e programmatico per una nuova stagione del centrosinistra” ci informa un lancio del sito on line di Rai news del 19 novembre) ovverosia quando si trovano di fronte la politica diventata inconsistenza con l’inconsistenza diventata politica.
Un’amaca anche per Boccia. “Bisogna seguire il profilo dei ruoli istituzionali: è stato un elemento di dibattito nel Parlamento, ma poi la nomina spetta al Governo e alle istituzioni proposte a farlo e bisogna rispettarlo”. “Questa è una legge di bilancio che non dà grandi aspettative l’importante è che non ha smontato le riforme fatte, che erano e sono importanti per il Paese”. Ecco alcune dichiarazioni di Vincenzo Boccia registrate dal Sole 24 Ore del 24 ottobre. Ed eccone delle altre: “I partiti ci dicano se vogliamo restare un Paese industriale”, “Altrimenti finisce il quantitative easing e il Paese si avvita” sempre dal Sole 24 Ore ma del 9 novembre. Ed eccone altre ancora anche più lontane nel tempo, dall’Ansa dell 11 ottobre: “E’ importante ricordaci da dove siamo partiti. C’è un momento di confronto importante. Prima riparte l’Ilva, meglio è per tutti: per i lavoratori, per gli investitori, per il Paese. Occorre però non fermarsi al conflitto sulle aspettative, entrare nel merito del confronto, seppure serrato, con la mediazione del governo e deve prevalere buon senso pragmatico nell’interesse dello sviluppo e del lavoro”. Cosa hanno in comune tutte queste prese di poszione? Che sono tutte così vivaci, così spiazzanti, così prive di indulgenze verso il luogo comune, così ricche di proposte inaspettate, così indifferenti alle regole più conformiste della più conformista politically correctness, che ci sembra di essere già quasi ben ben che addormentati, come su un’amaca di Michele Serra.