Gerolamo Gaslini, il “Rockefeller d’Italia” che salvava i bambini
01 Novembre 2009
Il nome Gaslini è sinonimo di cure pediatriche. L’Istituto “Giannina Gaslini”, affacciato su quel tratto di costa genovese non lontano dallo scoglio dei Mille, è oggi uno dei più quotati ospedali per l’infanzia a livello internazionale. Ma dietro a quel nome si cela anche una delle più esemplari storie italiane di filantropia, per la prima volta ricostruita da Paride Rugafiori in un volume che riesce a coniugare rigore scientifico e piacevolezza narrativa (P. Rugafiori, Rockefeller d’Italia. Gerolamo Gaslini imprenditore e filantropo, Donzelli 2009, euro 28).
Gerolamo Gaslini, senza l’ospedale intitolato alla figlia e, soprattutto, senza quella cospicua donazione dei suoi beni che portò alla nascita della Fondazione, sarebbe uno dei tanti industriali di successo del Novecento, archetipo del self-made-man lombardo: proveniente da una famiglia di piccoli imprenditori monzesi legati alla produzione e al commercio degli olii, andato a Genova a cercar fortuna, negli anni Trenta aveva costruito già un piccolo impero che, dal business degli olii, spaziava in molti altri settori. Dell’imprenditore-tipo egli condivideva tic professionali e stile di vita. Abituato ad addomesticare le voci di bilancio, si serviva delle sue amicizie in ambito politico ed amministrativo per favorire gli affari e non si mostrava certo estraneo ad una visione oligopolistica e corporativa del mercato.
La vita di Gaslini era assai frugale, lontana dalle distrazioni e dagli svaghi che lo status raggiunto gli avrebbero consentito: la solita villeggiatura estiva, una sola donna di servizio, nessun lusso ed ostentazione. E, soprattutto, un vero culto per il risparmio: «il capitale – egli diceva – si forma con il risparmio e non con l’utile». Neppure il suo percorso politico è stato fuori dal comune: nominato senatore nel 1939, Gaslini mantenne buoni rapporti col Duce che incontrò in numerose occasioni. Andava in cerca di appoggi sia per le attività imprenditoriali sia per la sua avventura sanitaria. In cambio, foraggiò il “Popolo d’Italia” e diverse opere assistenziali fasciste. Pur definendosi un reazionario, Gaslini rimase estraneo al fascismo repubblicano ed aiutò economicamente le forze della Resistenza; nel Dopoguerra, intensificò i rapporti con le alte gerarchie ecclesiastiche, in particolare col cardinale Siri.
Ciò che davvero rese esemplare la vita di Gerolamo Gaslini va invece collocato nelle sue esperienze più profonde e nei suoi più intimi valori. Nel 1917 una peritonite mal diagnosticata costò la vita alla sua secondogenita di soli 11 anni. Fu a seguito dell’incolmabile dolore per la perdita di Giannina che nell’infaticabile e schivo imprenditore lombardo maturò la volontà di dedicare la propria vita alla cura dell’infanzia. Tale desiderio aveva assunto nel 1921 la foggia di un centro polivalente per la «cura, difesa e assistenza dell’infanzia e della fanciullezza» che si sarebbe dovuto avvalere di personale altamente specializzato. L’ospedale, inaugurato nel 1938 da Mussolini, era un complesso formato da 17 edifici immersi nel verde e affacciati sul Mar Ligure. Per restituirne le giuste proporzioni, esso occupava una superficie di 64mila metri quadri di cui 51 mila destinati a giardino, con 10km di strade interne e 8 di vialetti.
Quella di Gaslini apparve subito come una concezione moderna della sanità: non più cura concepita come beneficenza, bensì salute in quanto «benessere fisico, psichico e sociale cui il cittadino ha bisogno senza differenze di trattamento a seconda dello stato sociale, nell’interesse proprio e della società». Ben più clamorosa la scelta del magnate di spogliarsi, ancora in vita, di tutti i propri beni per donarli alla causa dell’infanzia. Nel 1949, infatti, Gaslini istituì una Fondazione, da lui presieduta, che si sarebbe occupata della gestione dell’ospedale ricevendo in dote pacchetti azionari e proprietà immobiliari per un valore stimabile tra i 20 e i 30 miliardi del 1951. Si trattò di un inedito caso di filantropismo manageriale nel quale le aziende e le attività via via fondate o acquisite da Gaslini avrebbero dovuto per intero concorrere al successo della sua impresa sanitaria.
La Fondazione, perciò, aveva il compito di amministrare ricchezze al solo scopo di fare del bene. Sebbene il gesto rivoluzionario dell’imprenditore lombardo poteva anche essere ricondotto ad una tradizione filantropica radicata tanto a Genova quanto a Milano, Rugafiori non si stanca di sottolineare l’eccezionalità del dono di Gaslini: a differenza di tanti imprenditori moderni interessati soprattutto ad applicare (e a reclamizzare) l’etica all’impresa, il filantropo monzese apparteneva ad una ben diversa categoria. Così come John D. Rockefeller, il quale per la verità donò solo una ricca parte del suo enorme patrimonio, Gaslini si fece amministratore della sua immensa generosità, frutto di mai rivelate convinzioni morali e non certo di comuni ragioni strumentali (esenzioni fiscali, prestigio, riconoscimenti pubblici).
Alla sua morte, sopraggiunta nel 1964 ad 86 anni, Gerolamo lasciò la Fondazione Gaslini nelle mani della figlia Germana la quale, estremamente devota, era nel frattempo riuscita a convincere il padre a far presiedere l’ente morale, una volta estinta la famiglia , all’arcivescovo di Genova.