“Giù le mani dagli embrioni”

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“Giù le mani dagli embrioni”

08 Luglio 2011

Periodicamente, riemerge la questione degli embrioni umani crioconservati, che con termine ambiguo sono definiti soprannumerari (ma è possibile considerare un essere umano, sia pure allo stadio embrionale, come un di più, un oggetto in eccedenza?). Cosa farne, e perché non darli alla ricerca, sei genitori non desiderano farli nascere? La questione è stata affrontata ancora qualche giorno fa in un convegno, e nelle pagine milanesi il Giornale ne ha dato conto, riportando due opinioni opposte a confronto.

In apparenza, la soluzione di donare gli embrioni orfani alla ricerca potrebbe sembrare ragionevole; chi vi si oppone, magari in base all’idea che una vita umana non possa essere trattata come materia da laboratorio, fa la figura del bacchettone antiscientifico. Invece non è così: in tutto il mondo gli embrioni congelati sono considerati un problema, mai una risorsa. Nessuno sa nemmeno quanti effettivamente siano, anche se le stime parlano di circa mezzo milione; in molti Paesi gli embrioni vengono distrutti dopo alcuni anni (per esempio in Inghilterra o in Svizzera), in altri invece, come negli Usa, si conservano. In queste nazioni la ricerca sugli embrioni umani – vietata in Italia – è ammessa e praticata.

Perché dunque non si adoperano gli embrioni congelati, invece di buttarli o lasciarli inutilizzati? La verità è che gli scienziati non sanno cosa farsene, e anche nel periodo in cui i grandi centri di ricerca erano febbrilmente impegnati nella sperimentazione sulle staminali embrionali umane, con l’obiettivo di arrivare alla clonazione terapeutica, gli embrioni crioconservati continuavano ad accumularsi senza che nessuno li reclamasse. Per varie ragioni tecniche, gli scienziati preferiscono quelli "freschi", creati in laboratorio e subito distrutti per trarne linee di cellule staminali. Oggi la clonazione terapeutica è sostanzialmente fallita, e le scoperte di Yamanaka sulle Ips, le cellule pluripotenti indotte, hanno messo in crisi la sperimentazione sugli embrioni umani: l’ipotesi di utilizzare quelli congelati è dunque ancora meno credibile.

In America non vi sono leggi specifiche sulla questione, e i centri di fecondazione artificiale continuano ad accumulare embrioni scartati che però nessuno osa eliminare per timore dei contenziosi giudiziari. Esistono ormai società che si occupano esclusivamente dello stoccaggio degli embrioni congelati, un po’ come se si trattasse di pomodori in scatola o di un qualunque altro tipo di merce in giacenza. Il punto è che il consenso informato che i genitori devono firmare quando sottoscrivono il contratto con i centri di procreazione assistita è sempre revocabile, anche secondo la Convenzione di Oviedo: dunque la condizione di abbandono degli embrioni non è mai certa, e se una coppia, anche dopo molti anni, o dopo aver firmato una rinuncia, cambia idea e vuole impiantare l’embrione, può sempre farlo.

Questo rende difficile, o perlomeno giuridicamente rischioso, dichiarare un embrione definitivamente orfano. Inoltre non esiste, ad oggi, un criterio scientifico per accertare la morte dell’embrione crioconservato: come ha detto uno scienziato inglese non certo pro-life, Austin Smith, c’è un solo modo per stabilire se un embrione è vitale: impiantarlo nell’utero di una donna e vedere se si sviluppa. I problemi, come si vede, sono molti e complessi, e dobbiamo ringraziare la saggezza della legge italiana sulla procreazione assistita, se nel nostro Paese il numero degli embrioni congelati è limitato. La proposta di donare gli embrioni alla ricerca, dunque, non è un’opzione realistica. Parlarne può servire soltanto come provocazione culturale, per suggerire l’idea che l’embrione non sia una vita umana, ma soltanto un oggetto senza particolare valore.

Tratto da il Giornale del 23 febbraio 2011

*sottosegretario alla Salute