Gli “arresti preventivi” sono una scelta poco liberale e molto rischiosa

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Gli “arresti preventivi” sono una scelta poco liberale e molto rischiosa

23 Dicembre 2010

Dunque la rivolta studentesca contro il disegno di legge sull’università non ha mostrato il suo lato peggiore come è avvenuto lo scorso 14 dicembre. Nessuna calata dei barbari, almeno non sulla Capitale. Anche se episodi poco rassicuranti non sono mancati altrove: la solita lapidazione del celerino ha ferito una giornalista dell’Ansa a Palermo, tafferugli non sono mancati sul fronte di Milano, la libreria Mondadori di Torino è stata assediata con l’unica colpa di essere proprietà del presidente Berlusconi.  Ovunque blocchi del traffico, ovviamente; attività meno funesta della piromania da cassonetto ma probabilmente ancor più deprecabile per il cittadino medio e controproducente per il “movimento”.

Ma, dicevamo, gli episodi più cruenti e preoccupanti registrati la scorsa settimana in occasione del delicatissimo voto di fiducia al Governo, non si sono verificati. Meglio così, per tutti. Anche se forse le barricate sono solo rimandate al giorno del definitivo voto del ddl. Non c’è stato bisogno di fermi di polizia preventivi, come auspicato dal senatore Gasparri. Proposta poco felice per più di un motivo. È vero che il diritto di manifestare non deve essere assoluto ed intangibile in una vera democrazia; nel caso vi siano fondati motivi per prevedere disordine pubblico e guerriglia urbana, le istituzioni hanno il dovere di tutelare la cittadinanza (pedoni, automobilisti, lavoratori, negozianti) e non le minoranze facinorose. Però quella dell’arresto preventivo di soggetti più o meno conosciuti dalle forze dell’ordine, ancor prima che abbiano compiuto  un reato, è una soluzione decisamente poco liberale. Una forza politica che meritoriamente fa sua la cultura garantista non può permettersi di cadere in simili ingenuità. Se non altro per non dare sponda ad un’opposizione disperata, pronta ad attaccarsi a qualsiasi cosa e ben felice di poter rinfacciare contraddizioni sulle garanzie giudiziarie.

Inoltre, il fermo temporaneo degli elementi più violenti farebbe scattare un’istintiva simpatia nella massa dei rivoltosi. Lo spettro della “repressione” prenderebbe corpo e lo slogan più urlato diventerebbe “Arrestateci tutti”. Insomma, il conflitto si farebbe ancor più radicale ed insanabile. Il “movimento” si sfalderà durante le vacanze natalizie (come solitamente succede al termine degli autunni di lotta studentesca) quali che siano le soluzioni parlamentari. A meno che lo spettro della repressione non risvegli nuove energie per trascinare la rivolta fino alla primavera prossima.
Prevenire è meglio che curare. Tutto sta, però, nel capire quali siano le prevenzioni più efficaci.

In questo senso, bene ha fatto il Presidente della Repubblica a concedere udienza ad una delegazione di manifestanti. Gli studenti gli hanno chiesto  di non firmare la legge, ed è fin troppo ovvio che Napolitano deve rispondere solo alla Costituzione ed ai rappresentanti del popolo regolarmente eletti, non certo ad una decina di ragazzi che rappresentano solo una esigua minoranza di studenti (perché ricordiamolo: la stragrande maggioranza non scende in piazza). La cosa più urgente in questo momento è però rompere il fronte unico del “movimento”, separare per quanto è possibile le avanguardie violente e politicizzate dai veri studenti. I manifestanti non sono tutti pericolosi black bloc e nemmeno pacifici studentelli. Vi sono militanti dei centri sociali, veri professionisti della guerriglia urbana che fomentano i gesti distruttivi e cavalcano l’insoddisfazione giovanile; e vi sono studenti disinformati, preoccupati per il loro futuro e in preda al raptus rivoltoso stagionale.

Soluzione più saggia è dunque reprimere duramente i violenti quando si dimostrano tali e far capire a tutti gli altri che le istituzioni non sono totalmente sorde nei confronti di chi decide di confrontarsi civilmente. Sempre nell’attesa che il Natale e l’Epifania tutte le rivolte si portino via.