
Gli inglesi contestano l’Economist ma in Italia fioccano gli applausi

13 Giugno 2011
di Luca Negri
Povero Economist, ha poco da ridere. Non riesce a farsi una ragione del fatto che buona parte degli italiani continui ostinatamente a votare Berlusconi nonostante da anni gli si faccia notare che la cosa non è elegante. Eppure l’illustre (si dice così, vero?) settimanale britannico aveva messo in guardia già un decennio fa: il Cavaliere è “unfit”, inadatto, non idoneo a governare. Ma se errare è umano, perseverare è diabolico. Infatti l’Economist indemoniato ha perso il proverbiale aplomb inglese, il fine umorismo tipico del circolo Pickwich.
Insomma, per dirla con Santoro, l’autorevole (si dice così, vero?) giornale l’ha fatta fuori dal vaso ed ha usato un linguaggio un po’ forte. Berlusconi non solo era e rimane unfit ma ha letteralmente “screwed” un intero paese. Il participio passato si può tradurre più cautamente con “fregato”, ma tutti hanno pensato al significato più giovanilistico e tipico dello slang: “sfottuto”. Berlusconi dunque si è fottuto l’Italia, la bella signorina con cappello turrito e veste tricolore.
Le reazioni a casa nostra hanno poco di sorprendente. Chi si stupisce ormai nel vedere e leggere gli entusiasmi di gente di sinistra al cospetto delle critiche forestiere sulla carenza di liberismo a casa nostra? Poco importa che le ricette economiche proposte del settimanale albionico possano far inorridire un qualsiasi elettore di Vendola. A questo punto, se per paradosso trovassero una dichiarazione postuma di Hitler contro Berlusconi, la farebbero comunque girare in rete con il consueto accompagnamento di punti esclamativi e di lagne sull’essere costretti a vivere in un paese meno democraticamente sviluppato dello Zimbabwe.
Meno scontata e prevedibile era invece la reazione dei lettori dell’Economist, suoi compatrioti assai più evoluti dei beoti italiani. Almeno a giudicare da alcuni commenti al famigerato articolo scritti sulla versione on line del giornale. Mentre scriviamo hanno abbondantemente superato il numero di cinquecento, e non tutti sembrano apprezzare la gagliarda tirata del giornale. Certo, non mancano i commenti positivi di coloro che si dicono assolutamente d’accordo; fra questi scoviamo anche qualche italiano poco patriottico che, pur di far sapere che non riconosce il tiranno di Arcore come Presidente, si è sforzato di tradurre tutta la sua indignazione nell’idioma di Shakespeare. Ma una buona parte dei cinquecento e passa commenti prendono le distanze dalla caduta di stile della bibbia liberista.
C’è chi stigmatizza l’invenzione dell’acronimo PIGS per indicare i paesi europei meno sviluppati (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna), dato che in inglese la parolina significa “porci”. C’è chi fa notare che la situazione della Penisola non sarebbe molto più rosea dopo diciassette anni di governo delle sinistre. Qualcuno, più informato, rinfaccia all’Economist di preoccuparsi troppo di Berlusconi e di aver trascurato gli intrighi del suo avversario storico De Benedetti e dei banchieri inglesi che hanno “fottuto” il sistema finanziario mondiale. Qualcun altro si chiede se gli inviati del giornale non frequentino troppo le terrazze progressiste e le signore brontolone, ricavando un’immagine un po’ distorta del paese reale.
Addirittura c’è chi ricorda il caso di Amanda Knox e ne deduce che sarebbe meglio esprimere qualche dubbio sulla professionalità e la retta capacità di giudizio dei magistrati italiani. Sono però i toni troppo forti e il titolo ad effetto ad aver deluso il lettore medio dell’Economist. Più di un commento si chiede se un simile linguaggio contribuisca veramente alla comprensione di una storia ingarbugliata come quella italiana. Insomma, il dibattito è aperto, non finisce certo qua. Anche perché se il Cavaliere ha abusato sessualmente della povera Italia (consenziente o meno, ancora non si è capito) c’è il rischio che l’abbia ingravidata e prima o poi spuntino eredi legittimi. E con loro nuovi indignati editoriali e titoli in inglese.