Gli intellettuali che piacciono a Dahrendorf

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Gli intellettuali che piacciono a Dahrendorf

18 Agosto 2007

Il volume di Ralf Dahrendorf, Erasmiani. Gli intellettuali alla prova del totalitarismo (Laterza, Roma-Bari, 2007) si propone di rispondere a una domanda: quali sono le caratteristiche che un intellettuale deve possedere per non soccombere alla più dura delle prove contemporanee – il totalitarismo? Nasce da una domanda: “Come mai nel 1933 tanti intellettuali si lasciarono sedurre dalle sirene del nazionalsocialismo?” Non si tratta di una ricognizione generale sul XX secolo: o meglio, le considerazioni che se ne traggono hanno un valore generale, ma sono tratte dall’osservazione di un ristretto numero di personalità intellettuali. Queste sono state scelte con una rigida restrizione: essere nate tra 1900 e 1910. La selezione  così operata fa in modo che vengano presi in considerazione quegli uomini e donne che ebbero a che fare da adulti con fascismo, nazismo, comunismo, e con i regimi autoritari dell’est europeo.

Caratteristica dell’intellettuale è per Dahrendorf svolgere senza enfasi una funzione pubblica che consiste essenzialemnte nello scrivere e nel farsi leggere: “Parlano, discutono, dibattono, ma essenzialmente scrivono.” Se si ripercorre la storia del Novecento, sono davvero pochi i personaggi dotati di questa caratteristica che abbiano saputo mantenere una indipendenza di giudizio e una ferma distanza dai regimi dittatoriali, che non abbiano provato  simpatie o avuto sbandamenti nei loro confronti. In definitiva, per Dahrendorf se ne salvano completamente solo tre: Raymond Aron, Isahia Berlin, Karl Popper. Li definisce erasmiani: che cosa riprendono dall’autore di Elogio della pazzia? Come lui, essi osservano le cose del mondo ma vi partecipano in modo freddo, distaccato, razionale. Questo non significa affatto non prendere posizione: anzi, è il solo autentico modo di prendere posizione sulle varie questioni che si presentano loro.

Gli erasmiani così definiti amano sopra tutto la libertà: non la libertà sociale, ma la libertà ut sic. Stanno nel mondo con la fede nella libertà come loro stella polare. Ma per farlo hanno bisogno di particolari forze interiori, che l’autore definisce virtù: coraggio, giustizia, moderazione e saggezza, ovvero le quattro virtù cardinali. Solitari per scelta e per fedeltà alle loro convinzioni, si trovano di norma a confrontarsi con l’opinione pubblica e spesso a scontrarsi con essa. Possono condividere il sentimento prevalente, ma la loro passione resta sempre la ragione. Sono alla ricerca della verità, ma in un orizzonte di perenne incertezza. Non hanno timore di cambiare idea né di dichiarare che si sono sbagliati. Hanno un atteggiamento indipendente e sono disposti a pagarne il prezzo. Non aderiscono a nessun partito, non abbandonano se stessi per nessuna causa, anche se buona.

Se è giusto restringere l’indagine affinché essa abbia un senso, ci si chiede tuttavia se sia utile escludere dalla considerazione altri grandi intellettuali solo perché nati fuori dal decennio preso in esame. Personaggi come Benedetto Croce oppure Julien Benda, come José Ortega y Gasset oppure Paul Valéry, come Thomas S. Eliot oppure Bertrand Russell, straordinari testimoni del secolo e grandi agitatori di idee, avrebbero forse trovato un loro posto – non secondario, ma in ogni caso degno di essere discusso – all’interno di questa classificazione.

Il nostro Norberto Bobbio figura tra gli erasmiani ma, come Theodor Wiesengrund Adorno a causa delle sue iniziali simpatie per Hitler, con un percorso reso meno coerente dalla famosa lettera a Mussolini saltata fuori alcuni anni fa. Anche Hannah Arendt è nominata più volte nel volume, ma per lo più di scorcio: eppure quanto a indipendenza di pensiero non si faceva certamente lasciare indietro dagli altri autori citati. Ma a parte simpatie o compromissioni con i totalitarismi, si ha l’impressione che quello che muove Dahrendorf nella scelta sia la simpatia – intellettuale, s’intende – per i personaggi che tratta: non si spiegherebbe altrimenti la velocità con la quale tratta Adorno. Questa stessa attitudine verso i personaggi di cui parla giustifica egualmente la veloce e molto gustosa liquidazione di Ernst Jünger, citato solo come esempio e contrario.

La risposta alla domanda dalla quale muove il libro Dahrendorf la dà discutendo di passioni e ragione, ed è condivisibile anche se apre scenari inquietanti: “La democrazia è fredda, e giustamente ci si domanda per che cosa veramente i soldati muoiano quando sono trascinati in una guerra condotta in nome della democrazia. L’economia di mercato è fredda: in ogni caso, è più facile mobilitare la ribellione contro i suoi eccessi e le sue diseguaglianze che suscitare entusiasmo per le sue energie. E qui ci troviamo davanti a una delle debolezze fondamentali dell’ordinamento liberale: esso è quasi per definizione una cosa della testa, non del cuore.” Qui risiede probabilmente una parte della spiegazione per l’enigma che l’assenso dato anche da grandi intellettuali ai totalitarismi rappresenta. Si tratta di una loro debolezza al pari dei comuni mortali, di un errore di giudizio in cui cadono, o di che altro?

Il problema è che nel ragionamento di Dahrendorf si confrontano due attori che non sono simili in niente: da una parte uomini e donne che si muovono da soli, dall’altra grandi masse; da una parte la ragione, dall’altra la passione; da una parte l’analisi e il distacco, dall’altra la partecipazione e l’entusiasmo; da una parte la fedeltà a un ideale impopolare, dall’altra regimi o parti della società che si basano proprio sull’unanimità e sul conformismo. Di fronte a (e spesso contro) queste realtà pesanti l’intellettuale si pone con armi quali la virtù, la passione della ragione, il distacco, l’equilibrio, la coerenza con le sue idee, la fedeltà alla libertà. E mentre per lui questa è l’unica via possibile, per il mondo il comportamento che tiene risulta troppo difficile, troppo faticoso, troppo auto-punitivo per essere imitato. Non è sbagliato pensare che senza gli intellettuali e senza le armi che impugnano le società mancherebbero di quel sale essenziale a tenerle vive.