Gli intellettuali futuristi di Fini sono già acqua passata

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Gli intellettuali futuristi di Fini sono già acqua passata

11 Febbraio 2011

Durante il congresso che si terrà nel prossimo fine settimana a Milano per ufficializzare la stentata nascita di Futuro e Libertà, si parlerà del Manifesto d’Ottobre? Ricordate? Ancora era potente l’eco del discorso che Fini tenne a Mirabello, sembrava un grande momento storico, o almeno così sembrava a tutti i coraggiosi che lo avevano seguito nella rottura con Berlusconi, sempre più lontani da ogni “casa del padre”. Si evocava un grande movimento d’opinione; non “una Alleanza nazionale in piccolo”, semmai “un Pdl in grande”. In quell’atmosfera febbrile con brividi sansepolcristi, gli intellettuali accasati nella fondazione di famiglia “Fare Futuro” lanciarono il Manifesto per l’Italia. Molte parole in libertà, qualche buon proposito e un nutrito numero di firme illustri. Che ne è stato di quel temerario sfoggio di “coraggio intellettuale” per affrontare “situazioni inedite”? E domanda più pratica: quante altre adesioni sono arrivate? A noi risulta più che altro ci sia stata qualche defezione. Comunque non se ne è più parlato. E pensare che la rivolta finiana aveva puntato moltissimo sul supporto culturale degli eretici. L’ex segretario del Msi e di An finanziava le provocazioni dei nuovi futuristi, ad alcune ammiccava (come nel famigerato caso dell’ora scolastica di Corano).

Però la batosta del 14 dicembre, l’ennesima fiducia incassata dal Presidente del Consiglio, ha mortificato decisamente le passioni e gli ardori. La sensazione di occasione persa, irripetibile, è stata troppo forte. I giorni di gloria sono svaniti in un battito di ciglia, gli eroi antiberlusconiani sono diventati altri, più credibili, più luminosi nell’orizzonte mediatico. Anche la fine delle attenzioni particolari e degli incoraggiamenti da parte di sponsor pesanti come il Corriere e la Repubblica ha contribuito a ridimensionare il personaggio e la sua avventura. La nota questione dell’appartamento monegasco, tutt’altro che chiarita, ha fatto la sua parte.

Insomma, ormai quasi nessuno vede in Fini un possibile leader di coalizione. C’è chi ha scritto che Fini è retrocesso dal ruolo di delfino berlusconiano a quello di scudiero di Casini. Non proprio un grande affare, soprattutto per lui che non ha mai nascosto alte ambizioni. Un eterno secondo, come Toto Cutugno a San Remo? È subentrata dunque la realpolitik: il traguardo non è più lo scettro del centrodestra ma la sopravvivenza in caso di elezioni. I primi soggetti sacrificati alla realpolitik solitamente sono proprio gli intellettuali. Consiglieri preziosi e agitatori cultuali si trasformano agli occhi dei politici di professione in petulanti rompiscatole, sognatori molesti che disturbano il guidatore. Di conseguenza, dopo i primi entusiasmi si rilevano non solo molte fughe nella potenziale base elettorale di Futuro e Libertà, maa anche voci di intellettuali che puntualmente prendono le distanze.

Alessandro Campi non sarà a Milano per il congresso. Ma è noto che il professore di Storia del pensiero politico presso l’Università di Perugia, anche direttore scientifico di Fare Futuro si è trovato costretto a criticare più volte Fini. Con gli argomenti giusti: non si è dimesso dalla presidenza della Camera, ha flirtato troppo con l’antiberlusconismo ormai sterile, ha messo in crisi l’appartenenza al centro destra. Campi non ha intenzione di aderire al partito. “Il problema non è stare con Fini, per lealtà personale o peggio per interesse, o partecipare ad un appuntamento congressuale” ha scritto, “ma condividere eventualmente un progetto, una visione della politica e dell’Italia”, Aimè, proprio quello che per ora è manca vistosamente in Futuro e Libertà. Troppa tattica e poca politica, insomma. Anzi più che politica, “politicismo vecchia maniera”. Lo stesso Terzo Polo con Casini e Rutelli è un progetto “troppo evanescente”, mentre non è credibile uno “sfondamento a sinistra”. In poche parole, un disastro.
Poi c’è Sofia Ventura, docente di Sociologia all’Università di Bologna, colei che gettò il primo sassolino nello stagno della pax berlusconiana, con l’articolo che deplorava il “velinismo”, in tempi non ancora sospetti. 

Lei ha addirittura fatto ricorso al genio di Walter Chiari per esternare il suo disappunto: ‘il terzo polo è un sarchiapone, una cosa che in realtà non c’è e se c’è non si capisce a cosa serve”. Anche lei, come Campi, vede solo tatticismi. (se ne sono accorti un po’ tardi o meglio potevano chiedere referenze a qualche vecchio camerata di Fini), e chiede le dimissioni dallo scranno supremo alla Camera. Ci pare duqnue che conosca poco l’uomo: Fini si dimetterà solo nel caso di imminenti elezioni. Se lo facesse ora rischierebbe l’emarginazione dai grossi giochi. Essere ancora investito di un potere istituzionale finché dura la legislatura attuale è per lui un’indispensabile assicurazione sulla vita politica. La Ventura sarà a Milano: ”Farò un salto, perché sono una sentimentale… “. Dichiarazione non proprio incoraggiante sulla bocca di un’accademica di prestigio.

Chi invece rimane fedele è Filippo Rossi, il “gianburrasca” direttore responsabile di Fare Futuro web magazine. Intende una sola forma di bipolarismo: da una parte Berlusconi, dall’altra tutto il resto del mondo. Lui milita nel resto del mondo. A sentir Rossi, “una storia durata diciassette anni si sta concludendo in maniera drammatica, fragorosa e c’è l’ultima, pericolosa, velenosa fase – convulsa e per certi aspetti epica – del berlusconismo”. Ne consegue che “non è questo il tempo dei sofismi, dei ragionamenti astratti, dei teoremi politologici, degli schemini buoni per qualche aula universitaria (ogni riferimento alla coppia Campi & Ventura è probabilmente voluto). Tacciano i pensosi intellettuali. “È tempo di azione. È tempo di scelte. È tempo, anche, di scelte tattiche che possono non coincidere con gli orizzonti strategici”. Possiamo tradurre pressappoco così: Fini non si deve dimettere, siamo pronti ad allearci con chiunque, fare critiche in questo momento significa offrire argomenti al nemico. Anche il manifesto del nuovo futurismo può attendere. “Il gesto distruttore dei libertari” è rimandato a dopo la caduta del dittatore d’Arcore. Per ora ci si accontenta di qualche piccola manovra di scuola democristiana. Nulla  invecchia così velocemente come il futurismo.