Gli Oscar 2011 si chiudono come da copione: trionfa “Il discorso del re”
28 Febbraio 2011
È finita secondo copione. Nella notte degli Oscar “Il discorso del Re” di Tom Hooper ha trionfato, senza però stravincere. All’ottantatreesima edizione degli Academy Awards il bellissimo film sul sovrano d’Inghilterra balbuziente ha vinto il premio per il miglior film, la miglior regia, il miglior attore (Colin Firth non aveva proprio rivali) e la migliore sceneggiatura originale. Il resto è andato agli altri film, in maniera democratica.
Tutti, alla fine, hanno portato a casa un riconoscimento. Tre statuette (premi certamente minori, ma comunque premi: miglior sceneggiatura non originale, montaggio e colonna sonora) sono andate al vero contendente de “Il discorso del Re”, “The Social Network” di David Fincher. Natalie Portman ha meritatamente vinto il premio quale miglior attrice protagonista per “Il cigno nero” di Darren Aronofskj. A Melissa Leo e Christian Bale è stato assegnato il premio quali migliore attrice e attore non protagonisti per “The Fighter” di David O. Russell. Un riconoscimento tecnico è andato anche ai grandiosi effetti speciali di “Inception” di Christopher Nolan.
L’unico vero perdente è stato “Il Grinta” dei fratelli Ethan e Joel Coen. Un vero errore non riconoscergli neppure un premio minore. “Il Grinta” è il remake di un precedente film dallo stesso titolo, diretto da Henry Hathaway nel 1969, interpretato da un John Wayne ormai vecchio e appesantito (il film fece vincere all’attore americano l’unico Oscar della sua strepitosa carriera, ed ebbe anche un prolungamento nel 1975, “Torna El Grinta”, con Wayne e Katharine Hepburn). Oltre a un grande Jeff Bridges nel ruolo che fu di Wayne, il film dei Coen è una esemplare lezione di cinema.
Ma tranne questa svista clamorosa, come detto, tutto è andato secondo copione. Un copione però un po’ sbiadito. Lo spettacolo non è mai riuscito a decollare. Agli Oscar quest’anno è mancato il vero dominatore, la suprema attrazione capace di trasformare la cronaca abbastanza scontata in emozionante spettacolo. Lo scorso anno era andata in scena la lotta di Davide contro Golia. Il piccolo che mette a terra il gigante. La realtà che ha la meglio sull’illusionistico potere della fantasia. A questa edizione è mancato l’oggetto del contendere. Chi doveva vincere ha vinto.
“The Social Network”, ad esempio, è un film molto bello. Racconta la storia di un “nerd” di successo, l’inventore di “Facebook”. Nella lingua inglese “nerd” indica un individuo (prevalentemente giovane) con una certa predisposizione per la ricerca intellettuale, dotato spesso di quoziente intellettivo assai superiore alla media, votato però alla solitudine e con lo spirito di socializzazione davvero basso. I “nerd” sono devoti alle scienze, alla matematica, alla fisica e, naturalmente, all’informatica. Il “nerd” non ama lo sport, e visto che è un maschio, con l’altro sesso ha seri problemi. E i vestiti? Giusto: il “nerd” non segue la moda. Mark Zuckerberg può essere considerato il “nerd” più ricco del mondo, avendo inventato, giovanissimo, “Facebook”.
Zuckerberg è il classico genio privo di controllo, chiuso in se stesso, non motivato dal danaro, incapace di intrattenere nessun tipo di relazione, affettiva o amichevole. Il film di David Fincher racconta con stile avvincente e autentico umorismo la vita fortunata del “nerd” in ciabatte e calzini, perennemente collegato al computer. La non espressività del volto del bravissimo attore Jesse Eisenberg è perfetta per dar sostanza al genio al quale la vita ha riservato un ruolo straordinario, ma non sul piano affettivo. Fincher non solo non odia il suo ambiguo protagonista, ma non lo giudica. Gli sembra un figlio del proprio tempo, che vive al riparo della virtualità. Un figlio fortunato, ma pur sempre intrappolato in un mondo che non è la vita vera.
E altrettanto bello è “Inception”, una delle più originali opere di fantascienza recentemente realizzate. Il film, interpretato da un eccellente Leonardo Di Caprio, è al tempo stesso di facile e difficile lettura. L’ovvietà strutturale e simbolica del film è complicata da un abile montaggio di costanti capovolgimenti, dal nascondimento allo spettatore di alcuni elementi essenziali (rivelati solo verso il finale), da una spettacolarità visiva debordante e dal continuo domandarsi dei protagonisti della storia se quanto stanno vivendo appartiene al sogno o alla realtà. “Inception” ha raggiunto incassi stratosferici, registrati ovunque, ma anche le critiche estremamente favorevoli. E non solo quelle ufficiali della carta stampata.
Commenti entusiasti si possono leggere nell’universo ad uso e consumo degli internauti del cinema, che hanno assegnato ad “Inception” indici di gradimento altissimi. Il film di Nolan può essere considerato un affascinante videogioco da godersi in poltrona. Quando il racconto sta per naufragare sugli scogli di una difficoltà imprevista e insormontabile, si può cambiare finestra, e ampliare la vicenda instradandola in un binario parallelo, lasciando in sospeso l’intreccio principale. Nel finale si incastrano ben quattro piani paralleli: un’apoteosi della perfezione narrativa, con il tempo rallentato come il movimento in assenza di gravità. Però se paragonati con “Il discorso del Re”, a “The Social Network” e “Incepction” manca il calore, la forza dei sentimenti, l’afflato umanistico. Ha vinto il migliore. La festa è finita. Domani si ricomincia.