Gli Shabab hanno aspettato la fine dei mondiali per colpire l’Uganda

Banner Occidentale
Banner Occidentale
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Gli Shabab hanno aspettato la fine dei mondiali per colpire l’Uganda

16 Luglio 2010

L’Africa non può essere libera. E’ stata questa la risposta di al Qaeda al primo mondiale nero che si è appena concluso in Sudafrica. Al-Shabab, le milizie integraliste somale legate alla rete di Bin Laden che tengono sotto scacco la Somalia hanno alzato la voce e un intero continente ha tremato. Due attentati a Kampala, in Uganda, che hanno fatto oltre 70 morti, segnando il primo attacco in grande stile delle milizie islamiste oltre i confini della Somalia. Un buon modo per legittimarsi di fronte ai “padrini” quaedisti. Nei mesi scorsi si erano susseguite dichiarazioni, minacce dei vari movimenti più o meno vicini a Bin Laden: “Colpiremo il grande Satana ai prossimi mondiali. Lo colpiremo nel luogo in cui trionfò il razzismo bianco e dove oggi l’Occidente torna a manifestare tutta la sua ipocrisia”. Le misure di sicurezza messe in campo da Pretoria non lo hanno permesso, così la strategia è mutata in una spietata vendetta trasversale: punire chi gioca per la pace.

Ecco perché nel mirino è finita l’Uganda, il paese che più di tutti in Africa si è esposto contro il terrorismo e che partecipa, congiuntamente al Burundi, alla missione di peacekeeping per conto dell’Unione Africana in Somalia. In Uganda però la paura si è diffusa tra la popolazione, che non comprende fino in fondo il perché di questi attentati, tanto più che dopo alcuni arresti è stata ritrovata una cintura da attentatore inesplosa nell’area di Makindye – mentre i vertici degli Shabaaab fanno sapere che “gli attacchi a Kampala sono solo l’inizio”, congratulandosi con quella brigata dei martiri Saleh Nabhan, costola di Al Qaeda, “che ha portato a termine la missione di cui Allah li aveva investiti”. Per tutta risposta, l’Uganda ha deciso di rafforzare il contingente Amisom nel Corno d’Africa. 

Per quanto resti un’area di conflitti spesso dimenticati, l’Africa torna al centro delle grandi questioni di politica internazionale. I Paesi occidentali non sembrano tirarsi indietro ed hanno inviato notevoli aiuti logistici ed economici ai caschi verdi dispiegati in quei territori. Forze decisive per impedire ai terroristi islamici di prendere il sopravvento. Il peso del fondamentalismo islamico, però, soprattutto nel suo epicentro somalo, cresce di giorno in giorno, e sale il numero dei reclutati provenienti non solo da paesi mediorientali, ma anche dall’Occidente, soprattutto giovani. D’altra parte, gli obiettivi degli Shabab non sono unicamente in Africa. Il gruppo minaccia l’Occidente, gli Stati Uniti, e può godere come detto di numerosi miliziani ‘americani’ ed ‘europei’. Gli attacchi in Uganda potrebbero quindi essere letti come una “chiamata alle armi” per l’internazionale Jihadista.  

La domanda a cui ancora resta da dare una risposta è se va data maggiore fiducia ai governi africani. Che non vuol dire, da parte occidentale, ritirare le proprie forze o tagliare gli aiuti, ma favorire l’ascesa di nuove classi dirigenti locali. Questa nuova leva sarà probabilmente debole ma nello stesso tempo potrebbe ‘guidare’ il continente verso una maggiore autonomia, sempre che i popolo africani scelgano di mettersi in gioco. È tempo, insomma, che l’Africa faccia sentire la sua voce al mondo e il momento sembra quello giusto. A differenza dell’Onu, l’Unione Africana dispone di adeguati strumenti di deterrenza. L’African Standby Force è un vero e proprio esercito comune, che potrebbe assumere un ruolo cruciale nella lotta al terrorismo islamico, per cercare di ristabilire l’ordine partendo proprio dalla Somalia.