Gli stati membri cooperino per creare politiche di rilancio infrastrutturale

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Gli stati membri cooperino per creare politiche di rilancio infrastrutturale

22 Maggio 2012

Al vertice del G8 di Camp David è stato smentito il piano B di Bruxelles circa la Grecia fuori dall’euro, con una dichiarazione congiunta degli europei e degli americani, di natura generica. A suo rinforzo è venuto lunedì l’annuncio da parte di Jorg Asmussen, che rappresenta la Germania nel comitato esecutivo della BCE secondo cui l’Istituto di Francoforte sta elaborando a un piano A per la Grecia nell’euro, di cui egli, per altro, non ha dato alcun dettaglio. E’ certamente molto importante che sia lui a fare questa dichiarazione, per conto del vertice della BCE in quanto proprio lui in passato aveva criticato la politica di Draghi di accettare, come collaterali dei prestiti alle banche, anche titoli di valore non primario.

Sembra infatti che il piano A della BCE per la Grecia possa comportare finanziamenti alle banche greche in deroga ai requisiti ordinari, riguardanti la consistenza dei loro depositi, in rapporto alle loro esposizioni. Attualmente il punto debole che emerge nella incompleta architettura dell’euro zona è quello della mancanza di strumenti comunitari di garanzia dei depositi bancari e di intervento per la capitalizzazione delle banche. In Grecia è cominciata la fuga dai depositi bancari, per timore che il paese esca dalla moneta unica e che l’inflazione distrugga il risparmio depositato in banca, destinato a essere convertito in dracme. Data la libertà di movimento dei capitali vigente in Europa, i greci hanno trasferito i loro depositi a banche tedesche, olandesi, lussemburghesi.

Analogamente, vi è il rischio che i risparmiatori spagnoli, temendo il crack di Bankia (il colosso bancario formato dalla fusione fra casse di risparmio) e, a catena, la crisi di altre banche spagnole (si parla di un buco di 40-70 miliardi di euro) trasferiscano i loro depositi dalle banche iberiche a banche  di stati dell’eurozona più sicure. Ciò costringerebbe il governo spagnolo a massicce iniezioni di capitale nelle banche in difficoltà. Ma questa prospettiva comporta l’emissione di nuovo debito pubblico e ciò farebbe salire gli spread sui titoli del debito statale di Madrid e, per contagio, di quelli italiani. Insomma è dalle banche, tramite la sfiducia dei risparmiatori, che viene la minaccia di una crisi degli stati dell’euro zona, proprio mentre essi stanno facendo duri sacrifici per ridurre i deficit dei loro bilanci pubblici e così ridurre il peso del loro debito pubblico. Si può discutere se la BCE abbia o no il compito di acquistare titoli pubblici degli stati i cui spread hanno raggiunto livelli che minano la stabilità finanziaria europea. Ma sta di fatto che il presidente della BCE allora in scadenza Jean Claude Trichet, la scorsa estate li ha comprati in misura consistente, sostenendo, in modo pertinente, che ciò fa parte della missione della BCE di politica monetaria.

Con questa affermazione Trichet intendeva dire che la stabilità monetaria si compone sia della stabilità dei prezzi dei beni e servizi e sia di quella del livello generale dei prezzi beni capitali, reali e finanziari. Purtroppo   gli economisti , i giuristi esperti di economia e gran parte dei banchieri sono imbevuti di concezioni teoriche keynesiane superficiali quando non errate e spesso non si rendono neppure conto di essere keynesiani. Fra gli errori di Keynes e dei Keynesiani vi è quello di non considerare come componenti dei livello dei prezzi, quelli dei capitali, cioè degli stock, e di fermarsi solo ai prezzi dei beni e servizi , cioè dei flussi, che compongono il prodotto nazionale. Ma per riferirsi al livello dei prezzi come metro della stabilità o instabilità monetaria, cioè dell’inflazione o deflazione, non si possono trascurare i prezzi dei beni capitali dato che la moneta è serbatoio di valori sopratutto per questi. E, come strumento di scambio, la moneta riguarda sia i beni e servizi correnti che i capitali reali e monetari. Dunque Trichet aveva pienamente ragione, nel senso che la BCE avendo come obbiettivo la stabilità monetaria deve comprare debito pubblico di uno stato dell’euro quando vi è il rischio che il livello anomalo dei suoi prezzi generi uno sconvolgimento del livello dei prezzi del mercato finanziario. Tuttavia  sarebbe errato sovraccaricare la BCE di compiti di questa natura.

Essa li deve poter svolgere solo in situazioni di emergenza estrema, quando altri, più appropriati strumenti non abbiano funzionato. E così torniamo alle due gravi anomalie, nella architettura finanziaria europea, che riguardano le banche e che non sono dovuti al caso. Infatti la proposta di una assicurazione europea comune dei depositi bancari emerse già nel 2009, quando scoppio la crisi finanziaria. Ma fu accantonata perché comportava un costo addizionale per le banche. E si collegava anche alla questione della trasparenza dei loro bilanci e della loro situazione patrimoniale. Temi, anche essi, non risolti se non con il surrogato degli "stress test", compiuti in un regime di opacità sui dati analitici delle banche , su cui si presumeva  che tali test fossero basati. Anche la  questione della capitalizzazione delle banche rimane in uno stadio opaco. E la regolamentazione bancaria, che in Italia è sotto il controllo attento della banca di Italia, invece lascia molto a desiderare in altri stati. Ciò vale  soprattutto per il Regno Unito e per gli USA in relazione al trading finanziario, che viene effettuato in regime anarchico.

Sicché quando emergono perdite rilevanti sulle operazioni speculative si aprono voragini nei conti di grandi istituti come J. P. Morgan e si prospetta l’intervento di salvataggio dello stato. Ecco così la destabilizzazioni derivante da speculazioni finanziarie fatte senza copertura del rischio da parte delle banche al di fuori dell’euro zona, le quali  si possono permettere di scommettere contro l’euro pensando che se la scommessa andrà male interverrà la loro banca centrale, come munifico prestatore di ultima istanza. Obama che sposa la causa l’euro ammette che  Wall Street ha trattato il mercato finanziario come un casinò. Ma ha fatto ben poco per regolamentare tale casinò. E non dice nulla sulle anomalie delle agenzie di rating che emettono giudizi negative sulle finanze dei governi europei e sulle banche europee mentre  sono strettamente collegate alle banche d’affari degli USA, rivali di quelle dell’Europa. Chi dice che vuole difendere l’euro, lo dovrebbe fare anche con atti concreti. E poiché noi italiani non abbiamo alcun potere fuori di Europa, conviene che, mediante i nostri rappresentanti politici, cerchiamo di fare le riforme necessarie  in Europa.

Ciò completando l’architettura finanziaria sia mediante il fondo di garanzia comune europea dei depositi bancari, a cura delle banche degli stati membri, sopra indicato e sia  mediante l’assegnazione al Fondo europeo di stabilizzazione finanziaria, dotato di 500 miliardi di euro e soprattutto al MES (Misura europea di stabilità) che gli succederà con una dote di 750 miliardi  di due compiti di natura bancaria. Il primo consistente nell’acquisto di capitale proprio di banche di stati membri che hanno bisogno di essere ricapitalizzate e non riescono a farlo sul mercato (ciò non con generosi salvataggi, ma con acquisti a prezzi realistici  delle azioni comprate), il secondo consistente  nel finanziamento di progetti europei di investimento infrastrutturale. Infatti  la nuova crisi delle banche spagnole non è paragonabile a quella di J.P. Morgan dovuta a speculazioni sbagliate.

Deriva dal fatto che la deflazione causata dalle politiche di rigore del bilancio pubblico e la disoccupazione galoppante dell’economia spagnola  hanno generato l’insolvenza di molte famiglie per i mutui edilizi e molte difficoltà di onorare puntualmente i prestiti da parte delle piccole imprese. Ciò ha squilibrato i conti di banche ispaniche che stavano risolvendo, sia pure con fatica, i problemi che aveva loro generato lo scoppio della bolla immobiliare del 2008. Anche in Grecia le banche hanno difficoltà particolari derivanti dalla crisi dell’economia reale dovuta alla deflazione connessa alle politiche fiscali di rigore.

In sostanza, l’attuazione di politiche di deflazione dei bilanci pubblici degli stati membri in crisi, senza il contro bilanciamento con politiche pro crescita genera effetti negativi che vanno a colpire la stabilità bancaria. Occorre dunque che, tramite la cooperazione degli stati membri, si effettuino politiche europee di rilancio infrastrutturale, per contrastare  le conseguenze negative delle politiche fiscali nazionali di rigore. Ciò, come la garanzia europea dei depositi bancari può essere fatto mediante azioni cooperative di istituzioni degli stati membri  senza bisogno di dar luogo al progetto di un super governo europeo: una utopia tecnocratica pericolosa. Dobbiamo riportare l’economia e la finanza sotto il controllo delle persone umane, non fare il contrario, se vogliamo  riconquistare il dominio del nostro destino.