Global warming, basta chiacchiere è ora di passare ai fatti

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Global warming, basta chiacchiere è ora di passare ai fatti

09 Maggio 2007

L’intervento di Indur M. Goklany, tenuto “in contumacia” al convegno del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace sui cambiamenti climatici https://www.loccidentale.it/node/1646 , ha fatto discutere nonostante l’assenza dell’autore, impossibilitato a partecipare per ragioni di salute. Un lungo paper dello studioso americano, distribuito a tutti i partecipanti, poneva la domanda fondamentale a cui tutti coloro che s’interessano del global warming dovrebbero tentare di rispondere: che fare? E’ ragionevole autolimitare le emissioni dei paesi industrializzati e di quelli in via di sviluppo allo scopo di contenere la crescita della temperatura media globale? Per Goklany, la risposta è no.

Goklany non mette in discussione gli aspetti scientifici del problema. Egli accetta – pragmaticamente – le tesi di chi afferma che il pianeta si sta scaldando, che le conseguenze del riscaldamento saranno prevalentemente negative, che colpiranno soprattutto il mondo in via di sviluppo, e che almeno in parte ciò può essere dovuto all’immissione di gas a effetto serra da parte dell’uomo. E tuttavia, una semplice analisi dei problemi imputati all’effetto serra mostra come essi non siano questioni inedite: dalla (presunta) maggiore diffusione della malaria al (presunto) aumento della porzione di popolazione esposta alla fame o alla sete, si tratta di tragedia che già oggi una quota della popolazione mondiale deve affrontare e che non sono riconducibili, direttamente, al clima. Del resto, malaria, fame e sete – ma anche il potenziale innalzamento dei livelli del mare – erano una realtà drammatica anche nell’Occidente, fino a pochi decenni fa. Perché oggi, in Europa e Nordamerica, nessuno o quasi soffre la fame, la sete, la malaria? Non certo grazie ai mutamenti nelle dinamiche atmosferiche, che non hanno avuto alcun ruolo. Semmai, perché quella parte di mondo che, secondo un trito ritornello, consuma l’80 per cento della ricchezza mondiale in verità l’80 per cento della ricchezza mondiale (e anche più) anzitutto la produce. Spostando quindi lo sguardo dal passato al futuro, il problema numero uno dei paesi in via di sviluppo non è il clima, ma la povertà; e la soluzione non può essere l’adozione di tagli più o meno draconiani alle emissioni, ma lo sviluppo. Anzi: le politiche climatiche, nella misura in cui richiedono l’abbandono più o meno accelerato dei combustibili fossili, rischiano di incrementare la povertà energetica. La priorità, oggi, non è smettere di bruciare petrolio, gas e carbone; è bruciarne di più e meglio, per aiutare l’80 per cento della popolazione mondiale a soffrire sempre meno della carenza di acqua, cibo ed energia. Cioè, la vera sfida – almeno per chi mette al centro dei suoi pensieri le esigenze e il benessere dell’uomo – non è tornare a una vita “naturale”, ma di accelerare il processo di emancipazione dalla natura per quei 2 miliardi di persone che, per esempio, nel 2007 non hanno ancora accesso all’elettricità. E’ ovvio che la crescita economica dovrà fare i conti anche con gli eventuali cambiamenti del clima, ma, dal punto di vista dell’efficienza economica, è preferibile una strategia di adattamento – che cioè massimizzi i benefici dello sviluppo e minimizzi i costi del riscaldamento globale – alla strada opposta.

Scrive Goklany: “nel futuro prevedibile, il benessere umano e ambientale può essere migliorato di più, più velocemente, in modo più sicuro e più economico attraverso misure di adattamento focalizzate sulla riduzione della vulnerabilità alle minacce influenzate dal clima, o attraverso ampi sforzi di promozione dello sviluppo economico sostenibile anziché attraverso quelle riduzioni delle emissioni che vanno oltre le misure ‘senza rimpianti’, a meno che le tecnologie di mitigazione divengano molto più costo-efficienti di quanto non siano oggi. Nel frattempo, dovremmo implementare misure di mitigazione senza rimpianti e, per mezzo di un’aggressiva ricerca e sviluppo, sforzarci di espandere l’universo delle azioni senza rimpianti in modo da essere in grado, se e quando il monitoraggio dei cambiamenti climatici indicherà che servono provvedimenti più forti, di premere l’acceleratore in modo più costo-efficiente. Tale approccio basato sulla gestione adattativa dei cambiamenti climatici consinterebbe una migliore risposta ai problemi urgenti dell’oggi, pur consentendo ai nostri discendenti, che saranno più ricchi di noi, di affrontare i problemi del domani, compreso il mutamento del clima”.

Il ragionamento di Goklany è, sul piano logico, stringente, e si appoggia a una serie di valutazioni economiche difficilmente contestabili. Chissà se i promotori delle misure anti-crescita senza se e senza ma si prenderanno la briga di accettare la sfida, o se preferiranno il rifugio comodo comodo degli slogan a senso unico.