Google rivoluziona il mercato del lavoro: all’asta le stock options
16 Dicembre 2006
Le stock options sono delle opzioni call ma con una disciplina giuridico-economica particolare. Esse sono conferite gratuitamente a dipendenti e manager, che non pagano alcun prezzo d’acquisto. L’opzione perde ogni valore dopo la scadenza e, dunque, prima della scadenza viene esercitata se il prezzo d’esercizio (strike price) è inferiore al valore di mercato cui è quotata l’azione sottostante. In questo caso, l’azienda può orientare il pagamento di queste opzioni call in tre modi: in denaro, attraverso una diminuzione di liquidità; in azioni emesse al prezzo d’esercizio con un conseguente aumento di capitale; in azioni, cedendo quote detenute dalla società. Questa figura contrattuale viene utilizzata sempre più di frequente nella configurazione di parte delle retribuzioni dei manager o degli alti dirigenti, con l’obbiettivo implicito di legare il loro operato ai risultati dell’azienda. La tendenza di oggi è quella di estendere questa prassi contrattuale anche ai semplici dipendenti: il loro salario è così composto di una parte fissa e di una variabile, legata direttamente alla loro performance.
Google, il sito di ricerche online che ha rivoluzionato internet, rivoluziona oggi il mercato delle retribuzioni e più in generale la finanza. Le stock options presenti nel portafoglio dei suoi dipendenti (dirigenti esclusi) potranno essere sottoposte ad arbitrato secondo le regole classiche del mercato. Un dipendente, che detenga stock options in scadenza, avrà così la possibilità di rivolgersi ad un mercato di potenziali acquirenti, affamati di azioni della compagnia, che saranno disposti a pagare un premio rispetto allo strike price. Viste le performance della società, si può ipotizzare che potrebbero riemergere molte delle opzioni “underwater”, vanificate dai prezzi d’esercizio inferiori alle quotazioni attuali, con un relativo recupero di profitto a favore degli azionisti e dei lavoratori stessi.
L’azione di Google si può rivelare lungimirante nel lungo periodo per almeno tre motivi.
In primo luogo, valorizzando le opzioni, in futuro potrebbe permettersi emissioni inferiori, contando sulla rivalutazione delle stock options arbitrate a mercato. Non ci sarebbe più la necessità di annacquare il capitale sociale con aumenti di capitale volti a ripagare i dipendenti delle loro opzioni call. Né sussiterebbe la necessità di far ricorso alla liquidità. In secondo luogo, l’azienda potrebbe essere in grado di attrarre e trattenere talenti anche in condizioni di stasi borsistica. La guerra hign-tech per strapparsi il personale più qualificato impazza nella Silicon Valley. I lavoratori saranno sicuramente attratti dall’opportunità di vendere la parte variabile del loro stipendio sul mercato. La possibilità di sottoporsi ad un giudizio chiaro e competitivo, potrebbe risultare un valore aggiunto per i lavoratori.
Infine, Google cancella il secolare legame classista tra azionista e lavoratore, rendendo i confini di questa distinzione obsoleti. Ogni lavoratore della società è anche un suo azionista, ed ogni azionista lavora per il futuro della società stessa. Questo è il modo con cui Google intende il lavoro. Il lavoro è fonte irrinunciabile di ricchezza per l’azienda e l’azienda è fonte irrinunciabile di ricchezza per i singoli lavoratori. Per mezzo di un procedimento di asta on line,parte del lavoro dei dipendenti Google finisce per essere valutato dalla collettività di consumatori-acquirenti: il lavoro perde la sua tradizionale connotazione elitaria e demercificata, trovando la sua collocazione naturale nel mercato competitivo. Il mercato delle stock options recupera valore creato dai lavoratori e lo ridistribuisce sulla collettività.
Non è la prima volta che Google snobba le elite di Wall Street e rivoluziona il modo di fare finanza. Nel 2001 aveva suscitato le ire di molti operatori economici affidando il proprio ingresso in borsa ad una semplice asta. Oggi ribadisce il metodo. Il metodo Google discende direttamente dal motto che ispira i due co-fondatori che si può riassumere nell’aforisma “don’t be evil”. Non fare il male significa creare prodotti il cui valore venga percepito da tutta la comunità di clienti indistintamente; significa rendere gratuita tutta l’informazione disponibile. Non fare il male significa creare un metodo cristallino e non arbitrario per la valutazione del valore del lavoro dipendente.
“La nostra decisione aiuterà i nostri dipendenti a capire il valore di quanto possiedono”, ha dichiarato Dave Rolefson, il responsabile delle retribuzioni per l’azienda. La compagnia ha fiducia in sé stessa e nel suo futuro. Si apre all’azionariato diffuso senza filtri, aggregando idealmente il rischio di tutti gli stakeholders con i destini della più esplosiva delle Itcompany.