Grasso che esce dal Pd è notizia inaspettata solo per i giornaloni
31 Ottobre 2017
La superannunciata sorpresa di Grasso.“Una scelta improvvisa quella di Grasso” scrive Liana Milella sulla Repubblica del 27 ottobre. Le fa eco il giorno dopo sempre sullo stesso quotidiano Luigi Zanda: “Una decisione veramente insospettata”. Che quel marpione del capogruppo del Pd al Senato, in guerra contro Matteo Renzi e quindi pronto a usare ogni mezzo, faccia finta di stupirsi che un Pietro Grasso a cui era stata offerta la leadership della scialuppa bersaniana-dalemiana di Mdp e che non aveva declinato affatto l’invito, esca dal Pd, è giustificabile. Colpisce invece lo stupore “gratuito” della Milella: ma si sa, una giornalista scatenatamente giustizialista come lei, non riesce mai a non assecondare le mosse di chiunque sia o sia stato magistrato.
E’ il football alla guida della politica spagnola e catalana. “El Girona derrotò al Real Madrid en Montolivi (2-1)”. Gorka Pérez ed Eleonora Giovio scrivono su El Paìs on line del 29 ottobre della sconfitta dei “blancos” contro la squadra della città di cui è stato sindaco Carles Puigdemont. E’ stata “una partita inaspettata senza incidenti” scrive Jordi Ferrer sulla Repubblica del 30 ottobre: un bel sollievo in una situazione che comunque resta tesa e, inoltre, la conferma che sotto i Pirenei solo i piedi del football paiono avere la testa sufficientemente fredda. Già qualche settimana erano stati alcuni calciatori famosi che avevano svolto funzioni da opinion leader “ragionevoli” sulle vicende dell’indipendentismo catalano: da Gerad Piqué che piangeva per la repressione (pur contenuta) gestita da Madrid ma chiedeva di evitare nuove violenze. A Sergio Ramos, capitano del Real Madrid e della Nazionale, che pur criticando il centrale del Barcellona (fischiato al Bernabéu per il suo indipendentismo) lo difendeva dicendo – come riferito da Duncan Wright sul Sun del 6 ottobre – che “We have a great relationship, despite our different viewpoints and personalities. Mixing politics and sport is a mistake “, ovvero che lui e Piqué avevano eccellenti relazioni nonostante alcuni differenti punti di vista e che mischiare sport e politica era un errore. Mentre Matteo Pinci sulla Repubblica del 5 ottobre riportava questo parere di Andres Iniesta, capitano della squadra di Leo Messi: “Sono chiaro su una cosa, prima che ci facciamo più male: serve un dialogo fra i responsabili di tutto. Fatelo per tutti noi. Meritiamo di vivere in pace“.
Il peso sull’opinione pubblica di questi calciatori svela innanzi tutto una cosa: la crisi di leadership della politica spagnola e catalana, dei Mariano Rajoy, dei Pedro Sanchez e dei Puigdemont (quest’ultimo si è intanto rifugiato in Belgio, non il massimo del coraggio ma in linea con lo sforzo di evitare di inasprire la tensione). Gli unici che paiono salvarsi un po’ per qualità politica sono la leader dei Ciudadanos barcellonesi Ines Arrimadas e la sindaco della capitale catalana Ada Colau, vicina ai Podemos nazionali più che catalani, schierate su fronti opposti, molto centralista la prima, rigidamente autonomista (ma critica verso gli estremismi indipendentisti) la seconda, ma entrambe capaci di prese di posizione nette e articolate. Mi pare che sia la nebbia bruxellese-berlinese (quella che, di fronte alla crisi sistemica in corso in Spagna, si esprime balbettando solo qualche frase retorica con Jean-Claude Juncker) il principale fattore di crisi della politica di una grande nazione come quella iberica e di quella della sua più grande regione industriale. Sostituire la politica con l’amministrazione, non saper governare i conflitti se non con tattiche dilatorie, lasciare che crescano estremismi scomposti come quelli del referendum indipendentista, non saper rilanciare né a destra né a sinistra grandi forze nazionali (e locali) unificanti anche perché chiaramente distinte, tutti questi tratti, tipici della natura essenziale della politica bruxellese-berlinese, portano a questa situazione nella quale solo qualche pallonaro dice cose abbastanza sensate, con solo la speranza tenue poi che dal cuore del conflitto (cioè da Barcellona) emergano due nuove leader.
Come spesso accade, la Spagna parla molto di noi: se lasceremo che l’Unione europea-Cacania ci impedisca di avere un ruolo seriamente europeista, se ci metteremo in mano a burocrati e trasformisti, se non sapremo far esprimere forze unificanti nazionali a destra e sinistra, è già oggi ben netto e chiaro l’annuncio di un astensionismo devastante che disgregherà ulteriormente le nostre istituzioni già a pezzi dopo ben quattro governi in sette anni (Monti, Letta, Renzi, Gentiloni) poveri di legittimità non formale ma popolare. Tanto i “calciatori” spagnoli sono di buon senso, quanto gli scrittori non lo sono. Così le parole di Javier Cercas sulla Repubblica di oggi, 31 ottobre: “Credo che avessero deciso di andare allo scontro aperto”. L’autore di Soldados de Salamina, sembra quasi lamentarsi perché Puigdemont scappando in Belgio ha evitato un esito da guerra civile kossovara alla sua terra.
Se ti dimentichi di Pechino per un quarto di secolo. “La destra trumpiana non ha torto quando sostiene che tre presidenti Usa si sono fatti menare per il naso da un quarto di secolo”. Così scrive Federico Rampini sulla Repubblica del 30 ottobre. Pur aspramente critico verso il presidente americano in carica, la firma repubblicona non rinuncia a praticare il duro mestiere dell’analisi, invece di dedicarsi all’arte del puro insulto come tanti suoi colleghi. E imboccata questa via, coglie il nodo centrale della situazione attuale: Washington non ha una realistica politica verso Pechino da un quarto di secolo (con Bill Clinton, George Bush jr e Barack Obama) e anche la crisi nordcoreana (l’esistenza del regime di Kim Jong-un al fondo dipende dalla Repubblica popolare cinese) è parte di questa generale deficienza strategica.
Quelle infami tentate (e talvolta riuscite) vacanze di Formigoni. “Ancora viaggi”. Giuseppe Guastella sulla cronaca milanese del Corriere della Sera del 26 ottobre scrive sul caso, già ultratrattato, degli eccessi nell’usufruire dell’ospitalità di amici di cui avrebbe goduto Roberto Formigoni. Come al solito non si capisce quali atti di corruzione sarebbero stati commessi e quali funzionari materialmente colpevoli di questi sarebbero stati individuati. Inarrestabile però si aggira per le aule di Porta Vittoria il fantasma del reato di “tentata vacanza” compiuto dall’ex governatore lombardo.
Qualche problema di funzionamento della magistratura è evidente come testimoniano Salvo Palazzolo e Franca Selvatici che scrivono sulla Repubblica di oggi, 31 ottobre: “Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri sono nuovamente indagati sui mandanti occulti delle stragi mafiose del 1993 che colpirono Firenze, Roma e Milano”. Ora, se questo intervento è mirato a condizionare il voto siciliano del 5 novembre, appare assai tardivo. Se invece punta al voto politico del 5 marzo 2018, è assolutamente prematuro.