Grasso: mi si nota di più se faccio l’istituzionale o il teppista politico?

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Grasso: mi si nota di più se faccio l’istituzionale o il teppista politico?

29 Novembre 2017

Grasso: mi si nota di più se faccio l’istituzionale o il teppista politico? “Il Pd non c’è più” così Massimo Franco riferisce sul Corriere della Sera del 9 novembre una considerazione di Pietro Grasso, una frase che corrisponderebbe a quelle “esternazioni più misurate ma altrettanto nette, espresse giovedì scorso dal presidente del Senato Pietro Grasso”, come le descrive sulla Stampa del 13 novembre Fabio Martini . “Il presidente del Senato tenta di mettere al riparo il suo ruolo di arbitro” scrive Giovanna Casadio sulla Repubblica dell’11 novembre. Infine “Come già ribadito in altre occasioni il presidente Grasso non ha sciolto alcuna riserva in merito al suo futuro – ha puntualizzato il portavoce -. Notizie e dichiarazioni in un senso o nell’altro vanno lette come auspici dei singoli e non interpretano il suo pensiero e le sue decisioni. Quando queste saranno prese sarà lui stesso a comunicarlo”“ così riferisce la redazione del sito Palermo Today del 23 novembre. “La Cosa rossa è pronta/ Grasso sarà il leader” dice un titolo del Corriere della Sera del 29 novembre e nell’articolo così titolato Alessandro Torcino raccoglie questa frase di Massimo D’Alema su Grasso: “E’ autorevole e sa comandare”: Come valutare queste frasi e comportamenti? Esprimono bene la disgregazione più generale in atto oggi in Italia dove anche una persona che ha avuto meriti importanti nella lotta alla mafia, si butta via inseguendo ora battute da politicante di quarta, ora “pose istituzionali” che ridicolmente stridono con le scelte politiche concretamente intraprese. Che peccato, che spreco. Una specie di autogol, poi, mi pare la recente citazione di Luigi Sturzo fatta dallo stesso Grasso (citiamo dal Dubbio del 25 novembre): “Diceva Sturzo in Senato, ‘parecchi colleghi vorranno da me sapere a che servono nella mia concezione i partiti. Come uomo politico e come fondatore di un partito, rispondo chiaramente: i partiti servono a molte cose utili e vantaggiose per la democrazia, meno che a sostituirsi al Governo, alle Commissioni parlamentari, alle due Camere’’”. Insomma non è difficile intendere come il fondatore del Partito popolare avrebbe visto con fastidio un presidente della Camera che si mettesse a fare agitazione politico-partitica senza essersi prima dimesso.

La Goldman Sachs, dopo aver guardato nell’abisso. The deal between Goldman Sachs and China’s sovereign fund, the China Investment Corporation, illustrate the deep divisions in Washington over China’s trade and investment practices. As the complexities of chinese money into the United States” Ana Swanson e Keith Bradsher scrivono sul New York Times del 15 novembre che l’accordo tra Goldman Sachs e il fondo sovrano cinse CIC, rivela le profonde divisioni a Washington su come commerciare con Pechino, e la complessità di come trattare gli investimenti cinesi in America. Un articolo così peraltro mostra anche qualche divisione e complessità nel giornalismo liberal a trattare i rapporti tra la grande banca d’affari globale e l’odiato mr. Trump, e in parallelo tra certe spinte integralmente sovranazionali (vedi le big della tecnologia comunicativa) e i problemi concreti dell’economia americana. Dalla sua, Goldman Sachs appare aver modificato in parte il suo atteggiamento già pro-globalizzazione-senza-se-e-senza-ma (che ne fece la grande partner dei Clinton, dei Blair e dei Prodi negli anni Novanta) dopo aver guardato nell’abisso della crisi finanziaria del 2008 e dopo aver constatato che la Cina non era un panetto di burro in cui penetrare bensì una società con uno Stato ben attrezzato (autoritariamente) a dominarla. Da qui l’abbondanza di consiglieri, ministri e sottosegretari Goldman Scahs nell’amministrazione Trump. Ci chiediamo poi: chissà se questa sbirciatina nell’abisso (se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te” diceva Friedrich Nietzsche: nel caso in questione la società fondata da Marcus Goldman è stata fortunata perché “l’abisso” si è preso la Lehman Brothers invece di lei) abbia determinato il fatto che una serie di neopolitici attenti ai temi della sovranità popolare-nazionale si siano formati proprio dentro la grande banca d’affari: da Steve Bannon, che nella società newyorkese lavorò nei primi anni Novanta ad Alice Weidel, anche lei, non ancora leader di Alternative für Deutschland, analista finanziaria goldmansachsista dal 2005 al 2066.

Quei bambini capricciosi ma golosi dei polacchi e degli ungheresi. Le due capitali si sono chiuse in un broncio che non solo paralizza il processo di integrazione ma che crea di fatto l’Europa a due velocità”. Bernardo Valli sulla Repubblica del 24 novembre scrive che Varsavia e Polonia “tengono” il broncio”. “Polonia e l’Ungheria avrebbero troppo da perdere dall’uscita dall’Unione europea. Nazionalisti posizionati all’estrema destra, i governanti dei due paesi attaccano le istituzioni e le capitali europee, ma le loro economie hanno troppo bisogno dei fondi e del mercato comune per osare mettere davvero alla prova la pazienza dei loro partner”, così scrive Bernard Guetta su France Inter del 24 novembre. Mah! Chissà se il vertice bruxellese-franco-berlinese dell’Unione europea potrà venir fuori da quello scacco strategico in cui sembra essere finito, finché, gli elettorati che non le piacciono, li continuerà a trattare come mocciosi indisponenti da sgridare perché tengono il broncio e ai quali imporre disciplina regalando o sottraendo qualche caramella. 

Il nuovo pelo è veramente noioso, ma sotto c’è sempre il vizio della cara, vecchia e carognesca Repubblica. Il Generale che divide la destra” con un titolo a otto colonne ad apertura della prima pagina, il 28 novembre, il quotidiano di Largo Fochetti cerca di far esplodere le contraddizioni manifestatesi tra Silvio Berlusconi e Matteo Salvini circa l’un po’ inconsapevole generale Leonardo Gallitelli. Poi (sempre sullo stesso numero repubblicone) si spinge il povero Stefano Folli a forzare la mano: “Proporre oggi, sia pure in modo simbolico, un ufficiale dei Carabinieri per la presidenza del Consiglio significa delegittimare il gioco democratico alla vigilia delle elezioni”. Ullalà! Addirittura. Si delegittima il gioco democratico alla vigilia delle elezioni! E infine (ancora il 28 novembre) ecco Michele Serra, buttato via il bavaglino con cui recentemente aveva tentato di ripulirsi dalla bavetta astiosa che dai lontani anni Ottanta lo ha costantemente caratterizzato, impegnato in una carica da vecchi tempi contro il solito Berlusca: “La presenza di Berlusconi in politica non è un problema di decenza giudiziaria (anche se lo è). E’ un problema di anacronismo patologico, di tempo immobile, di futuro abortito”. Alé!  Decenza giudiziaria! Anacronismo patologico! Tempo immobile! Futuro abortito! Si prosegue, poi,  il 29 novembre sempre sul quotidiano diretto da Mario Calabresi con un titolo che recita così: “Riecco il Partito azienda/Sallusti, Mimun e Galliani nelle liste di Forza Italia”. Insomma per quanto si faccia finta di essere diventati con il “nuovo pelo” noiosi come Le Monde diplomatique, poi la classe non è acqua e subito ritornano le vivaci e sanguinarie carognerie d’antan.