Grillini a Ostia: pochi, maledetti e subito!
27 Novembre 2017
Grillini di Ostia: sia pochi sia maledetti. Ma subito. “C’è un eccesso di enfasi, nel modo in cui il Movimento 5 stelle celebra la vittoria della sua candidata a Ostia” scrive Massimo Franco sul Corriere della Sera del 21 novembre. La notizia – i commenti sulla quale Franco critica – è che “Ha prevalso con un distacco netto la grillina Giuliana Di Pillo, già delegata della sindaca Virginia Raggi per il litorale, che ha battuto la candidata del centrodestra unito Monica Picca con circa il 60 per cento dei voti contro il 40”, come scrive Mauro Bazzucchi su Huffington Post Italia del 20 novembre, e che informa anche come l’affluenza si sia fermata al 33,6 % degli elettori. Franco è commentatore intelligente di cose della politica e coglie alcuni elementi di debolezza dei grillini a Ostia. Però è difficile non considerare come il fenomeno dell’astensionismo particolarmente valorizzato nell’analisi corrierista faccia parte di una tendenza abbastanza generalizzata per cui “fewer than one in five eligible residents in Los Angeles vote in mayoral elections. In New York City, that figure falls to less than 14 percent. In fact, in 15 of the 30 most populous cities in the U.S., voter turnout in mayoral elections is less than 20 percent” poco più che uno su cinque dei cittadini con diritto di voto sono andati alle urne per il sindaco di Los Angeles, a New York meno del 14 per cento, di fatto nelle 15 più popolose città americane ha votato meno del 20 %, così scrive l’1 novembre Kriston Capps su Citylab, periodico diffuso via web e collegato a The Atlantic.
Dentro questo trend, che dovrebbe spingere a interrogarsi sul rapporto tra elettori e governo municipale nelle grandi città, il voto di Ostia per la rappresentante di un sindaco, Virginia Raggi, sottoposta (con molti argomenti ragionevoli peraltro) a una campagna di stampa e giudiziaria che ha un parallelo solo con quella contro Donald Trump, ottiene un risultato non disprezzabile. Di fatto, poi, i grillini hanno preso voti sia da Casa Pound sia dal Pd e pertanto si deve considerare come la loro affermazione – per quanto relativa – segnali il peso di una protesta radicata e rabbiosa su cui è sbagliato chiudere gli occhi e fare come gli struzzi cacciando la testa sottoterra.
Gli sgoccioli di uno Juncker a gogo. “Innanzi tutto prendiamo decisioni cruciali non all’unanimità ma a maggioranza”. Jean-Claude Juncker intervistato sulla Repubblica del 20 novembre, dopo aver fatto una lunga lezione agli indipendentisti catalani su come la politica debba essere sempre sottomessa alla Costituzione (il che peraltro è giustamente sostenibile dal punto di vista della “norma” cioè della difesa dello Stato di diritto, ma non della proposta politica che può chiedere -certo nelle forme legittime- anche di modificare la Costituzione), auspica che le istituzioni comunitarie prendano decisioni a maggioranza, dimenticandosi che i Trattati (cioè la Costituzione a cui deve riferirsi Juncker) prevedono in diversi occasioni l’unanimità e il diritto di veto. E’ proprio questo tipo di retorica un po’ ebbra del presidente della Commissione che fa intendere che Jean-Claude quando (nella possibile fase post Merkel) dice sulla Repubblica del 22 novembre che “L’Europa non si mette in pausa”, si riferisca al rifiuto di mettere in pausa una sua ben precisa attività da fare a gogo e fa pensare che, quando sempre sullo stesso numero del quotidiano di Largo Fochetti, Alberto D’Argenio scrive: “La pazienza della Commissione è agli sgoccioli”, si riferisca non a sgoccioli generici bensì più precisamente di cognac.
La fine, la nostra vita e quella del Pd. “Fine vita. Renzi accelera” così un titolo di un lancio dell’AdnKronos del 25 novembre. Che cosa avete capito? È un’iniziativa sulle questioni dell’accanimento terapeutico (al limite dell’eutanasia, sostiene qualcuno), non si tratta del programma di liquidazione del Pd, programma che comunque sembra bene in campo.