Grillo si candida a guidare il Pd per disperazione (sua e della sinistra)
13 Luglio 2009
Passata l’estenuante quanto innocua settimana del G8, il week end ha sfornato finalmente due notizie di rilievo: il comico Beppe Grillo si candida a concorrere per la leadership del Partito Democratico e la pornostar Milly D’Abbraccio si candida a partecipare alla nuova edizione dell’Isola dei Famosi. Un parallelismo perfetto, e forse non del tutto casuale, che palesa una volta per tutte alcune tendenze già in atto: la prima è l’ingresso sempre più evidente delle dinamiche e del linguaggio dei reality show nelle vicende politiche, la seconda è il mesto crepuscolo del fenomeno Grillo, almeno del Grillo guastatore feroce e immusonito degli ultimi anni, incapace di superare la logica contestatrice dei V-Day per provare a formulare proposte costruttive o semplicemente per trovare quel consenso popolare solo sognato in tutte le occasioni in cui ha fatto comparire il suo nome nelle schede elettorali.
Grillo si candida a guidare il Pd per disperazione (sua e del Pd), si propone come “alternativa al nulla”, gioca per l’ennesima volta la carta del libero provocatore, ma fatalmente sceglie di sfondare una porta già divelta, cercando di dare la schicchera finale a un castello di carte minacciato dai venti. Non servirà, così come non è mai servito in passato. Gli strali di Grillo, in fondo, non hanno avuto un gran peso nella caduta del governo Prodi, demolito da una maggioranza numericamente esigua e politicamente improponibile e litigiosa, né l’insistita gag dello “psico-nano” ha sortito alcun effetto sulla popolarità di Berlusconi, messa invece a dura prova dagli attacchi non politici ma pruriginosi di Repubblica e delle testate italiane e straniere che l’hanno seguita.
I toni sopra le righe di Grillo, peraltro, si levano buoni ultimi, dopo che la “franceschiniana” Debora Serracchiani e il “terzo uomo” Ignazio Marino avevano già mostrato un notevole cambio di passo del Pd dal punto di vista del linguaggio, abbandonando definitivamente modelli superati, come Nilde Iotti e Alcide De Gasperi, per abbracciarne di nuovi: Floriana Secondi e Pietro Taricone. “Perché ho scelto Franceschini? Perché è il più simpatico. Dubbi a schierarmi con lui? Nemmeno mezzo. Di qua c’è il progetto del Pd, dall’altra parte c’è D’Alema. Io sto col Pd". Decisione, supponenza e vuoto pneumatico: nell’illustrazione delle “nomination” della Serracchiani, capace di raccogliere un numero record di preferenze da parte di elettori vanamente ansiosi di un cambiamento, manca solo lo sfondo rosso del confessionale. “Nel Pd abbiamo una questione morale grande come una montagna. Ma cosa dobbiamo ancora aspettarci?”. La golosa opportunità fornita dall’arresto dello “pseudomostromilitante” Luca Bianchini, colta al volo dall’outsider Ignazio Marino per uscire da un meritato anonimato mediatico, ha il cinismo e la grana grossa di una frettolosa sceneggiatura da soap pomeridiana.
È evidente che in questa penosa atmosfera di smobilitazione generale aggiungere anche la presenza di un giullare che gridi a tutti che “il re è nudo” ha il solo effetto di sommare malinconia a malinconia, rafforzando ancora di più le velleità di chi, come Antonio Di Pietro, utilizza meglio e da tempi non sospetti un linguaggio politico populista e dozzinale, e accelerando il processo di rapido sgretolamento dell’ex partito “dalla vocazione maggioritaria” di veltroniana memoria. La polvere, poi, provvederà inevitabilmente a generare una nuova Araba Fenice e la catena di sigle che si è snocciolata a partire dallo scioglimento del Pci nel ’91 aggiungerà altri anelli.