Guido Gozzano, la vita oltre la poesia
30 Marzo 2008
Di Guido Davide Gustavo Riccardo
Gozzano – così si chiama per intero il poeta dei Colloqui – si sa molto, quasi tutto. La sua biografia è stata
indagata, raccontata, rivisitata, sferruzzata. Memorie, ricordi di amici e
conoscenti, ma anche studi, più o meno recenti, ne hanno setacciato persino gli
aspetti più reconditi, riflessi e implicazioni talvolta stravaganti. Difficile
immaginare pertanto di poter incontrare in un nuovo ritratto qualcosa di
davvero inedito o di sconcertante e, perché no, scandaloso sul suo conto.
Quello che è forse stato l’ultimo
scrittore di versi che ha saputo essere insieme popolare e colto, alto e basso,
capace di far entrare, con superba perizia, in tensione “aulico e profano”, è all’incirca
un libro aperto e tuttavia il rapido medaglione che gli ha dedicato Almo Paita
(Guido Gozzano. La breve vita di un
grande poeta, Bur Rizzoli) ha più di una freccia nel suo arco. Testo
stringato, veloce nei passaggi conosciuti (Torino, la vita canavesana eccetera)
si sofferma invece maggiormente su certi aspetti del privato (gli amori a
cominciare da quello artisticamente chiacchierato con la musa Amalia
Guglielminetti) e su certi lati (è il caso del cinema), apparentemente
secondari, della sua fulminante esistenza professionale.
Intesa diseguale e altalenante
con l’affascinante scrittrice coetanea, Gozzano%2C forse in un determinato
momento perde addirittura la testa, ma essenzialmente parla. Si confida. E’ la
prima figura femminile con cui tratta da pari a pari, a cui può raccontare
sogni e fantasmi privati e letterari, così come la nascita di taluni dei suoi
versi più importanti. Avviene, ad esempio, con uno dei suoi capolavori, Cocotte. “Ho abbozzato una poesia”,
scrive nel 1907 ad Amalia, “in endecasillabi e sestine; la poesia è bella, i versi
sono brutti. E’ un richiamo di una cocotte, che conobbi a Cornigliano Ligure,
quasi vent’anni fa (del 1889: avevo cinque anni!). Era nostra vicina di casa,
perché affittava pei bagni la metà della villa che affittavamo noi. Ma il
giardino nostro e il suo erano divisi da una cancellata: e fu attraverso le
sbarre che mi abbracciò qualche volta, dicendomi: ‘Mon petit cheri!’ con un sorriso che ricordo ancora… Poi i miei se
ne avvidero, ne parlarono a tavola, sentii da mia madre la parola cocotte… Da quell’anno
non ho più rivisto la mia amica francese, la cattiva Signorina. Ho rivisto
Cornigliano invece, la settimana scorsa, e il giardino di vent’anni prima e ho
sentito un gran bisogno di lei”.
Meno noti, e peraltro controversi,
i rapporti con la nascente industria cinematografica. Torino ai primi del nuovo
secolo è una specie di Cinecittà in miniatura. Il poeta è curioso. Bazzica gli
studi. Fa progetti. Sceneggia. Molti dei suoi buoni propositi restano tali,
eppure è un’esperienza che conta. Lo distrae, ma lo fa anche ragionare in
prospettiva. Gozzano ha però la sua spada di Damocle, quel mal sottile che non
gli dà tregua. E’ la “signora vestita di nulla” che, inesorabile, lo attende al
varco.
Gli ultimi anni sono terribili,
la malattia si fa sempre più invadente. Le lunghe soste in Riviera non bastano
ad alleviarne la pena. Il trapasso è datato nove agosto millenovecentosedici,
al tramonto, “l’ora vera di Torino”, quando, “da Palazzo Madama al Valentino
ardono l’Alpi tra le nubi accese…”. Quel giorno la città è in festa, le truppe
hanno appena conquistato Gorizia. “La morte”, scrive Paita, “gli aveva
risparmiato la temuta vecchiaia; almeno in questo la natura gli era stata
benigna”.
Almo Paita, Guido
Gozzano. La breve vita di un grande poeta,
Bur Rizzoli, pagine 176, euro 9,20.