Hamas e Fatah “fratelli coltelli”, serve una nuova leadership per i palestinesi

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Hamas e Fatah “fratelli coltelli”, serve una nuova leadership per i palestinesi

Hamas e Fatah “fratelli coltelli”, serve una nuova leadership per i palestinesi

31 Luglio 2009

Afghanistan
Le cose ancora non vanno bene, non a caso il comandante americano in Afghanistan vorrebbe l’invio di altri rinforzi. Nel paese, tutti, ovvero la coalizione multinazionale, il governo e vari gruppi di insorgenti, aspettano la fine di agosto, quando si terranno le elezioni presidenziali; non è chiaro, però, se il livello delle truppe schierate a presidio del territorio siano sufficienti ad assicurare uno svolgimento tranquillo della tornata elettorale. Molte sono le cause delle difficoltà che incontrano il governo di Kabul e i soldati della NATO e americani a mantenere la pace: innanzitutto la conformazione fisica del paese, la frammentazione etnico-religiosa, la debolezza storica delle istituzioni statali, la molteplicità di guerriglie (signori della guerra, mercanti di oppio, banditi, talebani stranieri, talebani locali, Al Qaida e così via).

Questo report dell’Institute for the Study of the War, pur centrando l’analisi sulle operazioni militari in una zona ristretta dell’Afghanistan, arriva a conclusioni chiare: “Sebbene l’impiego dell’attuale dottrina di contro-insorgenza sia stata applicata con successo nell’urbano Iraq, si è dimostrato ben più difficile applicarla nelle zone montuose e scarsamente popolate dell’Afghanistan. Le forze armate americane sono utilizzate in modo sproporzionato a difendere aree marginali in queste remote province”. “Nella teoria di contro-insorgenza, la popolazione è l’elemento dominante – il centro di gravità nel combattimento. Controllare e difendere il territorio è meno importante che proteggere la popolazione dove essa vive. L’obiettivo centrale della strategia di contro-insorgenza dovrebbe essere la messa in sicurezza della popolazione e quindi legittimare il governo piuttosto che focalizzarsi su sconfiggere militarmente l’insorgenza”. Ecco adesso in Afghanistan sta proprio avvenendo il contrario. Non solo, è interessante notare come il report mette il dito in una piaga poco nota: spesso la popolazione locale è semplicemente contraria ad ogni presenza straniera, dai talebani ad al Qaida, al governo centrale e agli americani: vuol solo essere lasciata in pace.

Per un punto di vista diverso, si veda quest’articolo apparso sul Wall Street Journal, molto più ottimista (anche se nelle guerre di contro-insorgenza è opportuno differenziare il piano militare da quello politico).

A tutte queste difficoltà se ne aggiunge un’ulteriore: le truppe NATO agiscono con caveat differenti a seconda della loro nazionalità, fino ad arrivare alla situazione tra il comico e il ridicolo della Bundeswer, l’esercito tedesco che prima di fare fuoco deve avvertire il nemico in tre lingue. Inglese, pashtun e dari, con il risultato di lasciare all’avversario tutto il tempo per scappare!

Pakistan
Fino a due anni fa, solo (si fa per dire) il 34 % dei pakistani pensava che i talebani costituissero una grave minaccia per il paese. Adesso la percentuale è salita all’81%, sebbene il 59 % condivida molti punti del programma di Al Qaida e circa il 25% anche le azioni violente contro gli americani.

Iraq
Il governo di Maliki per la prima volta ha condotto un’operazione militare su vasta scala senza l’aiuto americano, e questa è la buona notizia. La cattiva è che ha diretto le sue attenzioni, sotto pressioni di Teheran, contro il campo di dissidenti iraniani (circa tre mila) che da anni avevano trovato rifugio in Iraq e fino ad oggi erano stati protetti dalle forze USA; negli scontri sono stati uccisi sei iraniani.

La rivista Time riporta del progressivo peggioramento dei rapporti tra curdi e arabi, ai limiti della guerra civile. Tensioni si registrano anche tra il movimento sunnita cosiddetto del risveglio – chiave di volta della strategia di Petraeus contro Al Qaida – e il governo centrale: infatti la polizia ha arrestato sei miliziani appartenenti al movimento.

Gli americani sono incappati in un incidente linguistico: la “coalizione internazionale” non esiste più: dopo che gli ultimi inglesi se ne saranno andati, sul campo rimarranno solo truppe statunitensi.

Su questo blog americano, un bellissimo post di un alto ufficiale USA in Iraq: “E’ tempo di andarsene”, dice, perché gli Stati Uniti, in sostanza, hanno ormai fatto il loro lavoro; l’Iraq da un punto di vista militare è pacificato e l’esercito iracheno è in grado di tenere in pugno la situazione. E’ vero che nessun problema politico è risolto e lo spettro della guerra civile è sempre alle porte, ma si tratta di affari interni degli iracheni, a meno che gli USA non vogliano trasformare l’Iraq in una colonia vera e propria.

Iran
Forse qualcuno in Occidente, guardando le manifestazioni contro il regime, crede che i manifestanti vogliano un Iran democratico, laico con una separazione netta tra religione e stato. Ma non è così secondo Fukoyama, il quale ci avverte che l’obiettivo dei dissidenti è il ripristino dei genuini contenuti della rivoluzione del 1979.

Israele
John Bolton, già ambasciatore USA all’ONU, spiega bene sul Wall Street Journal l’ attuale differenza di opinioni tra Israele e Stati Uniti; infatti i rapporti tra i due paesi stanno arrivando al livello più basso mai visto dalla crisi di Suez del 1956. I motivi del dissenso vertono su due punti principali: sulla scelta di privilegiare l’azione di pace in Palestina, rimandando ad un secondo momento la questione del nucleare iraniano, e sulla politica della distensione nei confronti degli ayatollah. Ma per ora la strategia di Obama sta riscuotendo scarsi successi e ogni momento perso è un passo verso il nucleare e il miglioramento degli armamenti iraniani. Quello che Israele vorrebbe dalla comunità internazionale, e in modo particolare dall’amico americano, è invece un’azione chiara e forte contro Teheran, o per lo meno il via libera ad un suo intervento approfittando del consenso dei paesi sunniti dell’area.

Anche quest’altro commento critica la politica di Obama basata sulla propensione a disprezzare gli alleati in favore di buone relazioni con gli avversari o addirittura i nemici, facendo un confronto tra il rapporto tra Stati Uniti e Israele verso l’Iran e tra Stati Uniti, Polonia e Repubblica Ceca verso la Russia.

Autorità palestinese
Il reale problema dei palestinesi non è la divisione tra Hamas che controlla Gaza e Al Fatah vincitrice delle elezioni in Cisgiordania, ma sta nelle contrapposizioni interne nella stessa Al Fatah, dove si contano per lo meno due grandi linee di frattura: la prima tra i dirigenti all’estero e il presidente Abu Mazen, e la seconda tra chi vuole un riavvicinamento con Hamas e chi invece vuole continuare su una forte opposizione.

Striscia di Gaza – Hamas
Un articolo divertente che dona a quelle terre un po’ di speranza. E’ nata un’associazione per gli appassionati di surf (!) grazie all’impegno di americani e israeliani. Buffa la foto (la n° 13) dell’allenamento sulla groppa di un cammello.

Tornando alle cose serie. Un recente sondaggio ha messo in evidenza il crollo di popolarità di Hamas accusata dalla popolazione di aver condotto Gaza verso il dissesto economico a causa della contrapposizione frontale con Israele e al conseguente blocco economico e alla guerra di attrito, persa ovviamente, sempre con Gerusalemme. Questi sviluppi, tuttavia, non sono ancora sufficienti a segnare una svolta all’interno della pessima leadership palestinese e di conseguenza nel processo di pace con Israele.

Arabia Saudita
Non si sa bene se è più preoccupante il fatto che l’Arabia Saudita abbia finanziato a tutto spiano le madrase da cui sono nati i talebani, gli stretti legami con Bin Laden e Al Qaida, o la violazione sfrenata dei diritti umani e civili come ci spiega questo rapporto di Amnesty, in nome della lotta al terrorismo.

Mondo arabo
Per avere un’idea complessiva dei problemi che affliggono i paesi arabi, si legga quest’articolo sull’Economist. Si parte dalla definizione degli stati non come entità nazionali ma come “tribù con una bandiera”; al secondo posto il fatto che nessuno di loro è una vera democrazia e quindi sono regimi autoritari e di polizia e si finisce con la constatazione che il 65% delle riserve di petrolio del mondo risiedono nel sottosuolo del Medio Oriente. Questi fattori fanno sì che i paesi arabi siano ostili ad ogni forma di innovazione, incapaci di dinamiche di cambiamento diverse dalla guerra.

Nord Corea
Una notizia terrificante. In quel disgraziato paese, bambini con handicap vengono utilizzati per esperimenti sul funzionamento delle armi chimiche. Ad affermarlo è un testimone degno di fede, un ex soldato delle truppe speciali scappato al sud. La notizia è senz’altro vera, perché in un altro servizio della BBC, di 4 anni fa, un direttore di una prigione del Nord, scappato nell’altra Corea, riportò la stessa notizia di bambini portatori di handicap tenuti prigionieri in camere a gas di vetro, dove veniva immesso del gas per studiarne le reazioni.

http://leonardotirabassi.blogspot.com/