Hezbollah non ha più bisogno dell’Iran per fare la guerra a Israele

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Hezbollah non ha più bisogno dell’Iran per fare la guerra a Israele

17 Novembre 2011

La scorsa settimana il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha affermato che la milizia sciita libanese oramai è in grado di combattere militarmente Israele senza l’aiuto dell’Iran o della Siria aggiungendo anche di poter disporre di 10.000 missili Grad pronti a colpire lo Stato ebraico.

Si tratta ancora di propaganda alternata a minacce sulla scia dei padrini iraniani? O forse oggi il quadro sembra mutare drasticamente e, soprattutto a Gerusalemme, le esternazioni di Nasrallah dovrebbero risuonare come qualcosa di più della semplice retorica propagandistica?

Di certo la scelta di protagonismo e di disponibilità a rilasciare dichiarazioni strategiche rilevanti sono in larga parte dettate dalla convinzione generale di un Israele vulnerabile e isolato a livello internazionale. Le minacce di attacchi militari preventivi contro l’Iran paventati dall’attuale governo israeliano, tra cui spiccano le personalità del primo ministro Benjamin Netanyahu e del ministro della Difesa Ehud Barak, hanno messo in massima allerta tutto l’asse Teheran-Damasco-Beirut.

A oggi non è possibile discernere se i due leader israeliani stiano solo cercando di creare un ambiente internazionale ostile all’Iran per dissuaderlo dai suoi progetti atomici o stiano invece preparando l’opinione pubblica israeliana a un imminente attacco preventivo contro i siti nucleari iraniani. Una via quest’ultima molto pericolosa per i destini della regione e soprattutto per la sicurezza del paese ebraico.

L’opzione militare di Israele potrebbe avere due esiti certi: se i raid dovessero avere successo, Gerusalemme riuscirebbe a superare in un colpo solo l’isolamento internazionale e risolvere la crisi iraniana. Se dovesse fallire l’attacco ci sarebbero fortissime ripercussioni sulle alleanze internazionali e addirittura sulla stessa incolumità nazionale. Scelte difficili per un paese così piccolo.

Di certo, anche i diretti interessati come l’Iran, la Siria e gli Hezbollah sono sotto pressione a causa di uno scenario in continuo mutamento. A Damasco, il regime siriano degli Assad, da mesi combatte contro il suo stesso popolo ed è mantenuto in vita da Teheran e Mosca grazie al suo ruolo di alleato fondamentale nella regione.

Neanche l’Iran se la passa bene, con una crisi politica interna, isolato a livello internazionale, negli ultimi tempi naviga a vista nelle torbide acque della crisi economica che lo obbliga a decidere se spendere le proprie risorse in investimenti sociali e consenso popolare oppure se continuare il riarmo e il programma atomico con il rischio di provocare una guerra regionale e decretare la propria fine. 

Ma a preoccupare ulteriormente Gerusalemme  si aggiunge anche l’imprevedibile evoluzione politica dell’Egitto post-Mubarak e l’incognita della Libia sotto il controllo degli islamisti cirenaici. In questo scenario è proprio Hezbollah che tra gli attori della cintura sciita non solo è stato l’unico rimasto immune alle rivolte che hanno destabilizzato non poco i suoi più potenti alleati nella regione ma che anzi ha beneficiato dei cambi di regime nell’area.

Infatti è stato proprio con l’Egitto e la Libia che Hezbollah ha intrecciato già dai primi mesi delle rivolte un ottimo rapporto diplomatico e strategico. C’è d riferire che l’attuale giunta militare al potere in Egitto è profondamente influenzata dalle opinioni della piazza, e quindi dei Fratelli Musulmani, che nonostante siano sunniti hanno una velata ammirazione verso il gruppo libanese.

Nasrallah ha da subito profuso lodi nei confronti dei manifestanti egiziani dopo averli incoraggiati pubblicamente a ribellarsi al regime di Mubarak. Non è un mistero che membri di Hezbollah siano stati incarcerati nelle carceri egiziane semplicemente per aver servito come agenti di collegamento con membri di Hamas a Gaza creando così un aperta ostilità del partito sciita nei confronti dell’ex-rais egiziano accusato di collusione con gli Stati Uniti e Israele.

Lo stesso si può dire per il suo totale appoggio (di Nasrallah) nei confronti della rivoluzione in Libia dove dando il sostegno ai ribelli di Bengasi ha saldato un vecchio conto con il rais. Nel 1978, il predecessore e mentore di Hassan Nasrallah nonché uno degli ideologi di Hezbollah, l’imam Mousa al-Sadr, è stato probabilmente rapito ed ucciso da Gheddafi durante una sua visita a Tripoli e nei 33 anni trascorsi esponenti sciiti libanesi non hanno mai smesso di chiedere il suo rilascio.

L’appoggio agli insorti libici è stato il compimento di una vendetta comune che ha permesso la nascita di una solidarietà concretizzatasi con la vendita di armi avanzate NATO utilizzate nella campagna libica e consegnate al gruppo filo-iraniano, armi tra le quali figurano missili anti-carro e di difesa contraerea ad alto potenziale. 

Tale amicizia, chiaramente collegata alla storica guerra del partito sciita contro Israele e alla presenza mai sopita dell’anti-sionismo tra le masse arabe, potrebbero giustificare l’avvicinamento della popolazione egiziana e libica al movimento e al suo segretario generale. Non è da sottovalutare per Israele infatti la credibilità politica acquisita negli anni da Hezbollah all’interno del mondo arabo e della nazione libanese dove attualmente possiede una schiacciante maggioranza nel governo.

L’appoggio al gruppo libanese anche da ambienti non strettamente collegati a gruppi sciiti può far pensare, almeno per il partito di Hassan Nasrallah, ad un allargamento e un superamento dell’ostilità settaria all’interno del mondo arabo che fino ad oggi ha guidato le politiche di contenimento tra l’Arabia Saudita e l’Iran e che hanno la presenza israeliana e americana nella regione il collante politico.

A tale proposito bisogna precisare alcuni punti fondamentali per comprendere meglio la particolare pericolosità del gruppo paramilitare sciita nei confronti di Israele:

1) Benché molte nazioni occidentali considerino Hezbollah un gruppo terroristico, esso detiene un enorme influenza politica e militare all’interno del Libano tale da rendere imprescindibile trattarvi per la stabilità della nazione dei cedri e, forse in un futuro prossimo, anche per la Siria.

2) La realtà di fatto però è che il Partito di Dio gode di una relativa impunità nei confronti della giustizia internazionale e dagli obblighi che la regolano. Essere un partito-milizia lo pone al di fuori delle regole imposte agli eserciti regolari nelle modalità di ingaggio e conduzione di un conflitto, lo ius in bello per intenderci.

3) La tecnologia acquisita dal gruppo militare sciita nella contraerea sancirà probabilmente un parziale ridimensionamento della superiorità aerea fino ad ora posseduta dall’esercito di David grazie all’impiego di droni.

4) La grande popolarità tra la popolazione libanese e nel mondo arabo che lo pongono al riparo da destabilizzazioni sul piano interno e al riparo da possibili colpi di mano o tentativi di defraudamento della sua posizione all’interno delle istituzioni libanesi.

5) La probabile autonomia finanziaria del partito libanese grazie ad una oscura e intricata rete di imprese e gruppi di sostegno transnazionali e alla gestione di traffici legati alle mafie sciite nel mondo e basate nella tripla frontiera sudamericana.

Il governo israeliano chiaramente non sottovaluta tali implicazioni e peculiarità elevando già da molti giorni il livello di allarme nel nord del Paese, soprattutto alla luce delle incerte evoluzioni nella regione e con il rischio di un attacco su più fronti in caso di una campagna militare contro l’Iran, tuttavia Teheran a parte, il rischio materiale più alto per il paese ebraico resta Hezbollah con la sua capacità politico-militare e le sue peculiarità strategiche. Israele non dovrebbe sottovalutarlo.