Hillary Clinton, l’uomo forte della nuova amministrazione americana
18 Luglio 2009
Politica estera USA – Medio Oriente
L’amministrazione Obama ha messo al centro della complessa questione mediorientale, dove si intrecciano per lo meno quattro diverse crisi (quella israelo-palestinese, la rinascita dell’Iraq, la minaccia nucleare iraniana e la guerra contro i talebani ed Al Qaida in Afghanistan), l’impegno militare in Afghanistan e la soluzione del conflitto più antico che contrappone palestinesi e israeliani, sperando così di togliere legna all’estremismo fondamentalista. Brian Katulis e altri in un report (“Finestra di opportunità per una soluzione che preveda ‘due stati’”, sottinteso per due popoli, “Raccomandazioni politiche per l’amministrazione Obama sul fronte Israelo-palestinese” )del think thank Center for American Progress, vicinissimo ad Obama, concludono che questa soluzione è possibile se Obama nei prossimi 12-14 mesi compierà i passi politici necessari investendo più risorse in comunicazione strategica e iniziativa politica, cioè seguendo gli attori regionali coinvolti in ogni loro aspetto. Ma bisogna agire in fretta, perché la finestra di opportunità si sta chiudendo.
E qualche passo avanti si registra. Israele, per esempio, ha rallentato la costruzione del famoso e contestato muro in Cisgiordania che divide le due comunità, ma che tante vite ha salvato. Sette anni fa iniziarono i lavori di costruzione della linea di separazione, ma adesso sembra che i fondi già stanziati non andranno spesi, dando ascolto ai consigli americani. L’esercito israeliano ha inoltre rimosso ben 140 posti di blocco (ne rimangono ancora 600) in West Bank permettendo così una maggiore libera circolazione di persone e mezzi, fatto che contribuisce certo ad una migliore qualità della vita dei palestinesi. Qui di seguito anche l’intervista a Uzi Arad, stratega e consigliere per la sicurezza nazionale del primo ministro Netanyahu, che chiude la porta ad un possibile accordo sul Golan con la Siria mentre la lascia socchiusa con i palestinesi e fa intravedere la possibilità di una richiesta di adesione alla NATO di Israele.
Un altro documento, questa volta dell’Israeli Policy Forum, centro studi americano di ispirazione liberal, contiene raccomandazioni interessanti dirette alla nuova amministrazione americana, due tra tutte ci sembrano meritevoli di considerazione. La prima sostiene che il lavoro della diplomazia oltre che di dichiarazioni pubbliche è fatto principalmente di iniziative che avvengono dietro le quinte e non come fa Obama che prima parla e poi agisce; l’altra che nel gioco mediorientale bisogna considerare un attore che spesso si dimentica, la Corea del Nord e il suo network per vendere e diffondere le armi nucleari.
Alcuni giornali di due giorni fa hanno riportato lo scatto orgoglioso di Hillary Clinton riguardo al suo ruolo e sulla posizione dell’America nel mondo, invitando a non fraintendere la disponibilità al dialogo, la volontà di affrontare i massimi problemi in modo multilaterale dell’amministrazione Obama con la volontà di far abdicare gli Stati Uniti dal ruolo di superpotenza mondiale. A voi la versione originale e integrale della conferenza stampa. Da notare è che la Clinton ha voluto rassicurare gli americani sul fatto che verranno difesi sempre dall’esercito più forte del mondo, per rintuzzare le critiche dovute al ridimensionamento delle risorse destinate al Pentagono.
Obama in politica estera è impegnato in un complicato gioco di costruzione di una nuova immagine degli Stati Uniti che si distacchi da quella del suo predecessore Bush, senza però rinunciare in pratica ai punti cardini realisti, si veda l’aumentato impegno in Afghanistan. Non ci stupisce quindi che l’operazione abbia un sapore retorico ideologico e si diriga a rivedere le bucce delle passate azioni di quella amministrazione come nel caso del ruolo dei servizi segreti, facendo finta di dimenticarsi della crisi paurosa in cui si trovarono gli Sati Uniti dopo la sorpresa drammatica dell’11 settembre e di qualche migliaio di vittime innocenti. Ora si fa presto a dire che le modalità scelte per farvi fronte non erano le migliori e nemmeno meravigliano la sollevazione di scudi che queste osservazioni ex post sollevano in politici, commentatori e funzionari non dico conservatori, ma realisti e responsabili (titolo di quest’articolo ripreso dal Wall Strett Journal “Perché approviamo le intercettazioni senza garanzie. Gli ispettori generali ignorano la storia e agiscono politicamente con la legge”). Nello stesso modo non si possono definire “assassinii” illegali, come fa il Washington Post nel suo vulnus revisionista antibushiano, l’eliminazione all’estero di terroristi, perché così agendo ci si scorda la storia e si dimentica cosa si diceva all’indomani dell’attentato alle Torri gemelle (ma a proposito si legga anche questo articolo del Wall Street Journal).
Il fatto è che questa doppia linea in politica estera sembra ad alcuni osservatori non una scelta razionale ma innata nel carattere di Obama che da una parte è affascinante, sorridente, fatto per riscuotere consenso, mentre dall’altra è invece rigido e non malleabile, fatto che lo porta a compiere le scelte politiche sbagliate nel momento sbagliato perché dovute più all’emotività che al calcolo razionale. Una modalità d’azione che spiazza anche i suoi elettori e infatti il suo consenso interno è fortemente calato.
Ecco una superba analisi teorica sulle differenze tra realisti, liberal e idealisti neocon o wilsoniani e il ruolo dell’intelligence condotta da sul sito del Middle East Policy Council.
Stephen Walt, recensendo il libro di Piers Brendon “The Decline and Fall of the British Empire, 1781-1997”, compie un interessante confronto tra Albione e gli Stati Uniti odierni e arriva alle seguenti conclusioni. 1) Non esiste una cosa come un “Impero benevolente”; 2) tutti gli imperi dipendono da una ideologia e una retorica che si autogiustificano, spesso in disaccordo con la realtà; 3) i successi dell’Impero dipendono dall’hard power; 4) il declino di un impero è accompagnato dalla crescita della sua opulenza e dall’ossessione della sua gloria; 5) i grandi imperi sono eterogenei; 6) quando un impero si sta costruendo è difficile dire dove si fermerà; 7) la sua costruzione coinvolge una grande quantità di persone incompetenti; 8) le grandi potenze difendono i loro interessi con ogni mezzo a loro disposizione; 9) il nazionalismo e altre forme di identità locale rimangono un potente ostacolo per il controllo imperiale; 10) il “prestigio imperiale” è sia una risorsa che una trappola. Ottimi dieci comandamenti, ma l’intero articolo è ricco di spunti. (Si ricordano sul tema anche i libri di Nial Ferguson “Impero. Come la Gran Bretagna ha fatto il mondo moderno” e “Colossus.Ascesa e declino dell’impero americano”).
Da non sottovalutare, nell’analisi politica, il ruolo delle contingenze e il fattore umano con tutto quello che ne consegue. Ecco la notizia (riportata dal celebre e ben informato David Ignatius) che a Washington si sta combattendo una battaglia senza esclusione di colpi tra i capi dei servizi segreti, Dennis Blair al comando dell’Agenzia Nazionale di Sicurezza che riunisce tutti i servizi di intelligence della nazione, e Leon Panetta, direttore della Cia. Ogni colpo all’uno è una vittoria per l’altro… Altro che nobili principi.
Iraq
In Iraq le cose sembrano andare meglio, ed è vero se la pietra di paragone è il numero di attentati e di morti. In un’analisi dell’ Institute for the Study of War, si sostiene che: la mappa politica dell’Iraq è cambiata enormemente dalle elezioni provinciali tenutesi il 31 gennaio di quest’anno. Da allora vi è una nuova coalizione nazionale; i partiti che hanno sostenuto Maliki sono risultati vincitori e quindi il primo ministro è uscito rafforzato, il tentativo di riconciliazione con il partito di Motqada al Sadr è fallito, la coalizione al potere nel parlamento ha rafforzato anch’essa il suo potere fino a bilanciare quello di Maliki; il partito sciita sconfitto (lo SCIRI) e il primo ministro si trovano a livello centrale in una fase d’impasse che l’Iran sta cercando di risolvere (!), si stanno facendo i primi passi per ricostruire la presenza politica sunnita a livello nazionale per prepararsi alle elezioni politiche del 2010 (fatto di per sé positivo perché significa il rientro sulla scena politica di un importante attore nazionale, ma anche la difficoltà di organizzare partiti nazionali non per linee religiose, tribali e settarie).
Guerra santa islamica
Continuando la ricerca sulla guerra santa intrapresa su questa rubrica fin dall’inizio, diamo notizia di un articolo non nuovo ma utile di analisi del linguaggio usato da Al Qaida condotto dalla celebre facoltà di legge di Yale.
Curiosità
Non sono più i tempi di una volta! E’ proprio vero. Fino a pochi anni fa degli spioni inglesi non si sapeva niente, se non quando passavano nell’altro campo e finivano tra le braccia (in tutti i sensi) del KGB. Erano famosi per essere letterati, professori universitari, storici e quant’altro; in loro si univano intelligenza, cultura e avventura, a partire da quel celebre archeologo che va sotto il nome di Lawrence d’Arabia. Ora invece non solo la foto del loro capo circola tranquillamente su Facebook per di più in costume da bagno mentre, bianco come il latte, gioca a frisbee sulla spiaggia o travestito da babbo Natale durante una festa…
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