Hina: cronaca di un processo senza giustizia
28 Giugno 2007
L’Acmid, l’Associazione Comunità Marocchina delle Donne in Italia, non può costituirsi parte civile al processo di Brescia sull’omicidio Hiina. La decisione del magistrato di Brescia viene giustificata da motivi nazionali: Hiina era pakistana, è stata uccisa da pakistani, dunque le donne marocchine non c’entrano. Ma Hiina era musulmana ed è stata uccisa da musulmani, nel nome di un’interpretazione radicale dell’Islam. E anche le donne di Acmid sono musulmane e proprio perché lo sono, vogliono che giustizia sia fatta.
Il delitto Hiina è l’applicazione della sharia in Italia, un qualcosa che è stato reso possibile solo da: “La falsa integrazione” – spiega Dounia – “il chiudere gli occhi di fronte a una falsa rivendicazione della tradizione. Il padre di Hiina è cittadino italiano, ma non ha mai accettato le nostre regole, non ha mai accettato di vivere in uno Stato di diritto. Ha voluto applicare la sua legge, inumana e irreligiosa. Io mi rifiuto, da donna musulmana, che questo delitto sia commesso nel nome dell’Islam. Chi toglie la vita a un essere umano, uccide tutta l’umanità: così è scritto nel Corano”.
Insomma: l’Islam viene invocato come religione universale solo quando fa comodo. E Dounia ci spiega che il caso di Hiina non è affatto unico: “Dal 1997 al 2004 sono state uccise cinque donne: una solo perché voleva lavorare, una perché non voleva portare il velo, una perché voleva sposare un Italiano, una perché voleva continuare gli studi, una perché non voleva sposare un uomo scelto dal padre. Ci sentiamo sempre dire che sono ‘vittime del maschilismo’ come ha affermato il ministro Pollastrini proprio per il caso di Hiina. Ma non prendiamoci in giro: sono vittime del terrorismo, di un’ideologia che predica un Islam sbagliato. Io posso essere vittima del maschilismo se subisco una violenza sessuale, se vengo discriminata sul lavoro, se mi viene negato il diritto di vivere come gli uomini, ma quando una donna viene ammazzata perché si è rifiutata di obbedire alle regole della legge islamica, allora è una vittima del terrorismo islamico”.
A Brescia si è riunita una delle più grandi manifestazioni di donne musulmane nella nostra storia recente. Venivano da tutte le parti d’Italia, portavano una sciarpa color grigio con il nome di Hiina, un manifesto con la scritta “Hiina sono io”. Non c’erano solo le donne musulmane. C’era anche l’on. Santanché (Alleanza Nazionale) che ha preso a cuore il caso Hiina sin da subito. E c’era Anselma Dall’Olio. Che ci spiega: “Queste cose succedono regolarmente, non solo in Italia, ma in tutta l’Europa. In Gran Bretagna si calcola che vi siano 50 delitti d’onore (ma sarebbe meglio parlare di disonore) all’anno. All’interno delle nostre città esistono dei veri e propri califfati in cui si impone la sharia e in cui tutti i regolamenti di conti all’interno delle famiglie sono coperti dall’omertà”. E’ per questo che vogliamo che questi casi escano allo scoperto, per far sì che non succedano più. Hiina purtroppo non è un caso raro. Casi come il suo succedono regolarmente, così come le infibulazioni, i matrimoni combinati, l’imposizione di molti precetti contro la volontà delle donne. Noi dobbiamo rivendicare il diritto di essere libere e incolumi”.
Adriana Bolchini, presidente dell’associazione ODDII (Osservatorio del Diritto Italiano e Internazionale) sintetizza bene la posta in gioco: “Nel nostro Paese dobbiamo applicare le nostre leggi. Provate a pensare se dovessimo applicare il diritto cinese per i cinesi, il diritto russo per i russi… non ha senso. Perché dobbiamo fare un’eccezione solo per i cittadini di fede islamica? Vogliamo solo che obbediscano alle nostre stesse leggi. Non esiste nemmeno un diritto specifico delle donne. C’è il diritto e basta: il diritto corrisponde alla libertà e crediamo che la libertà sia veicolo di benessere. Perché nei Paesi in cui non c’è libertà e non c’è rispetto dei diritti, c’è anche più miseria che in Italia. Se una parte di umanità non può essere libera di lavorare e di scegliere il proprio destino, la società è dimezzata”.
Eppure… la decisione della magistratura non è stata un’assoluzione degli assassini di Hiina, ma un segnale molto negativo in una società che corre i peggiori pericoli del multiculturalismo. E la reazione alla notizia che la richiesta di Acmid era stata respinta è stata molto forte. “La nostra richiesta è stata respinta. Hanno detto che non è un problema sociale” – ci spiega Souad Sbai, presidente dell’Acmid – “E’ stato riconosciuto il 40% di invalidità all’ex fidanzato di Hiina, per il trauma che ha subito e i danni che ha riportato da quell’esperienza. Noi potevamo essere quel 40% in più per aiutarlo in questa causa difficile. Evidentemente anche qui ci considerano delle minorenni a vita e non ci hanno dato questa possibilità. Ricominciamo, però. Ogni giorno del processo, noi saremo qui davanti. Ma la cosa che ci ha fatto più male, in quell’aula, è vedere che gli assassini di Hiina non sono affatto pentiti. Io ero a un metro da loro: sorridevano tranquilli”.
E a quanto ci racconta l’on. Daniela Santanché, presente in aula: “Dalla gabbia, il padre mi ha additato e faceva segno che dovevo andarmene. Quando me ne sono andata pare che abbia fatto anche dei commenti molto brutti. Quindi sa bene chi sono e che cosa rappresento”. “L’hanno ammazzata una seconda volta. Sono senza parole”, commenta sconsolata Dounia Ettaib. “Che mondo lasciamo ai nostri figli? Che speranza diamo alle nostre donne?”