Huckabee in Iowa “vince col cuore”

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Huckabee in Iowa “vince col cuore”

04 Gennaio 2008

Dice di aver vinto contro i soldi. Col cuore. Primo. Due mesi fa Mike Huckabee non se lo immaginava nemmeno che l’Iowa gli potesse dare la soddisfazione di sentirsi presidente almeno per un giorno. Adesso, con il suo 43 per cento,  ci ripensa e sa che saranno di più: la strada verso la Casa Bianca è lunga e tortuosa, lui ha vinto il primo round repubblicano. Sa che forse non ce la farà, ma ci spera. Cerca la presidenza, sale nei sondaggi, ha l’appoggio teorico della base. Gli avversari l’hanno snobbato come contendente alle primarie. Ma ora dall’alto del suo 34 per cento le cose cambiano: Romney si è fermato al 25 per cento, seguito a distanza da McCain e Thompson al 13. Lui che nelle preferenze è sempre stato in seconda fila, tranne in Iowa. Ma a Huckabee questo ha sempre dato speranza: «Anche Clinton nel 1991 era sconosciuto». Ha conteggiato il futuro: se dovesse vincere nello stato d’esordio delle primarie, secondo i suoi conti avrebbe una spinta equivalente a quella che potrebbero dare 60 milioni di dollari. Huckabee è andato male nella raccolta dei fondi, però dice di essere comunque in gara. C’è e non è solo. L’opinionista del «New York Times», David Brooks, l’ha lanciato: «Ci sono molte ragioni per cui può avere una chance realistica di vincere la nomination repubblicana». Huckabee è l’unico candidato che piace a tutte le anime di un partito che ha diverse riserve su Romney, Giuliani e McCain e non si straccia le vesti per Thompson. Mike è un ex pastore battista e questo lo rende attraente agli occhi della parte più religiosa dell’elettorato conservatore. Ha una storia da vincente, in politica e nella vita: è un ex obeso che ha sconfitto il grasso. Ha perso cinquanta chili e poi ha raccontato in un libro la sua esperienza e la sua lotta contro il diabete che lo trasforma in un campione delle buone abitudini alimentari. Anche lui ha il vantaggio di essere un midwestern: viene dall’Arkansas, lo stato di Clinton; anzi viene da Hope, la città di Clinton. Quindi è quello più indicato per fare la guerra a Hillary. Poi è stato governatore: l’Arkansas è stato suo fino al 9 gennaio 2007. I sondaggi sono cambiati: ha cominciato a spuntare qua e là come potenziale outsider. È arrivata la notorietà, qualche soldo in più e poi, con la parabola consueta e inevitabile, i primi guai. Roba sporca legata a giri di soldi e anche a una vecchia proposta di mettere in quarantena i malati di Aids. Holy Huckabee!, ha titolato a un certo punto il settimanale «Newsweek». Anche il «New York Times» è andato all’assalto: ha raccontato che da governatore ha concesso la grazia a un ex stupratore, che era stato aggredito e castrato da sconosciuti prima di finire condannato all’ergastolo per violenza carnale. L’uomo, poco dopo essere tornato libero, ha violentato e ucciso una donna (è poi morto in carcere nel 2005). Tre dei sette membri della commissione che concesse la scarcerazione hanno detto al «Los Angeles Times» che l’allora governatore fece pressioni su di loro. Dal passato di Huckabee è poi spuntato quel questionario del 1992, quando era candidato per il Senato: sosteneva che i malati di Aids dovrebbero venire isolati dal resto della popolazione e aggiungeva tra l’altro che l’omosessualità è «uno stile di vita aberrante, non naturale e peccaminoso» e «pericoloso per la vita pubblica». «Newsweek» ha pubblicato anche i finanziamenti elettorali sospetti per 120 mila dollari ricevuti nel 1994 dal gruppo «Action America», dietro il quale secondo il settimanale c’era il gigante del tabacco R.J. Reynolds, che puntava ad usare Huckabee per combattere la riforma del sistema sanitario all’epoca promossa dalla first lady, Hillary Clinton. Il candidato ha letto i giornali, ha ascoltato le critiche e poi ha parlato. «Essere ignorati è senza dubbio più piacevole, ma essere attaccati significa che stai andando forte». Sempre col sorriso, perché questa è l’altra caratteristica della vita: è un simpatico, amante della battuta. I giochi sporchi fanno parte del mestiere, lo sa. Sa anche che la sua vera gara forse non è quella per la nomination. Forse quello che cerca davvero è la vicepresidenza. Con tutto quello che ha, Huckabee potrebbe essere un potenziale running mate per qualunque candidato alla Casa Bianca, a patto che non abbia altri scheletri nell’armadio. Sarebbe perfetto per Giuliani, che ha bisogno di un uomo del Sud, sorridente e cordiale e soprattutto di un alleato socialmente conservatore per annacquare le sue posizioni considerate troppo liberal su aborto e diritti gay. Per Romney che soffre del complesso religioso del mormone. Per Thompson che non ha mai governato né una città, né tantomeno uno stato.
Ora tutti questi lo guardano dal basso, a cominciare da Giuliani che in Iowa non correva e s’è fermato al 4 per cento. La corsa vera di Rudy comincia il 29 gennaio in Florida. Fino ad allora Huckabee dovrà cercare di convincere gli americani che lui è l’uomo giusto. Se ci riuscirà potrà avere una speranza. Altrimenti si dovrebbe accontentare. Ammesso che l’ipotesi di una vicepresidenza sia una roba di cui accontentarsi.