Hunger, un flm per chi ha dimenticato Bobby Sands e gli orrori dell’Irlanda

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Hunger, un flm per chi ha dimenticato Bobby Sands e gli orrori dell’Irlanda

30 Aprile 2012

 

Il complesso italiano degli Stadio, in una canzone (“Chiedi chi erano i Beatles”), avverte la nostalgia per il tempo passato. E per la musica passata. Chi erano i Beatles, si domandano insistentemente? In un passaggio cantano: “Chiedilo a una ragazza di quindici anni di età / chiedi chi erano i Beatles / e lei ti risponderà”. Quando, finalmente, si chiude l’angosciante storia di “Hunger”, e ci metti un po’ a riprenderti, per quello che hai appena visto, vorresti avere accanto un ragazzo (o una ragazza) di quindici anni, e chiedergli: sai chi era Bobby Sands? Già!

“Hunger”, regia dell’inglese Steve McQueen, parla di Bobby Sands. Bisogna tornare indietro nel tempo. All’Irlanda del Nord del 1981. Ai plumbei anni Settanta del secolo passato. In Irlanda la guerra civile imperversava. Distruggeva tutto. Uomini, cose, speranze, futuro. Chi avesse ragione o torno non è questione risolvibile (e riassumibile) in una critica cinematografica. Poiché spesso, troppo spesso, quando si spara e si ammazza, il torto si fonde con la ragione. Che fosse una “sporca guerra” combattuta sul suolo europeo, inglesi contro irlandesi, irlandesi contro irlandesi, cattolici contro protestanti, lealisti contro terroristi, conciliatori contro estremisti, autonomisti contro nazionalisti, pur standone lontani, lo si capiva attraverso il telegiornale della sera, in bianco e nero. Dal bianco e nero, sfocato e tremolante, si avvertiva che tracimava vittime e violenza, senza logica.

“Hunger” racconta la vita di un prigioniero politico, l’irlandese cattolico Bobby Sands, nato a Belfast nel 1954, e morto nel 1981, dopo un lungo ed estenuante sciopero della fame. Bobby prima di entrare in carcere, dove avrebbe dovuto scontare una lunga condanna, aveva un bel volto e il sorriso solare. Era un ragazzo, con la zazzera come il concittadino George Beast (nato a Belfast nel 1946), idolo di un calcio trasgressivo e irregolare, potente e distruttivo, bandiera dei Red Devils (il Manchester United). Dal carcere ne uscì morto, ridotto a larva. Scheletrito, il corpo un mucchio di ossa pieno di ferite, sconquassato all’interno per la denutrizione. Un povero Cristo consunto. Un agnello sacrificale sul quale non si era abbattuta la mano del carnefice. Il carnefice, nel suo caso, stava a guardare.

Nella camera dell’infermeria della prigione dove Bobby muore, il carnefice ogni giorno gli serve il pasto fresco che rifiuta, lo lava, pone la mano pietosa per alleviare le ferite sanguinolente disseminate sul suo corpo. L’agnello ogni giorno si spegne. Bobby si lascia morire per un ideale: l’indipendenza, la libertà. Smette di vivere per protesta. Non si considera un criminale comune, ma un prigioniero politico. E come tale va trattato. Ma gli inglesi hanno deciso di trattarlo come un criminale qualsiasi. E lui prima rifiuta gli abiti (vive nudo, insieme ai compagni di lotta), poi rifiuta acqua e sapone (smette di lavarsi, radersi, tagliarsi i capelli).

Il film di Steve McQueen, grazie alla forza evocativa e alla bravura del protagonista Michael Fassbender, non ci risparmia nulla. Ci inchioda, come faceva Mel Gibson in “La Passione di Cristo”, alla lenta agonia di Bobby. La promessa della libertà in cambio del corpo martoriato. Non c’è bisogno di parole nel film. L’uomo in gabbia è ridotto allo stato animale. Una sola lunga conversazione si ha tra Bobby e un sacerdote, della durata di quasi venti minuti, con la macchina fissa su di loro. Il resto sono urla e silenzi. In prevalenza silenzi.

Ne valeva la pena? Guardando cosa è successo negli ultimi venti anni, possiamo dire di no. Inglesi e irlandesi si sono alla fine incontrati. Hanno smesso di uccidersi a vicenda. Prima Major e poi Blair hanno trovato un compromesso con le varie anime della politica irlandese. Gli americani hanno smesso gradualmente di aiutare finanziariamente i combattenti dell’IRA. Gli intrecci con il terrorismo internazionale sono stati recisi. Gli europei hanno indirizzato molte risorse economiche per favorire la pace. E così l’Irlanda ha deposto le armi. La lotta fratricida è finita. E oggi a Belfast le cose vanno, bene o male, come a Madrid, Parigi e Roma. Non c’è più bisogno di mezzi blindati per strada, corpi speciali in assetto da guerra, leggi speciali, combattenti della libertà pronti a tutto. Non c’è più bisogno di altri Bobby Sands (dopo di lui, altre novi prigionieri persero la vita per lo sciopero della fame).

Avevamo dimenticato Bobby Sands e gli orrori dell’Irlanda. I film servono a rinfrescarci la memoria. A ricordarci quello che non vogliamo ricordare. Non è un caso se questo piccolo film, uscito nel 2008, arrivi in Italia quattro anni dopo. Meglio tardi che mai.